LE LETTURE DI UGO

LE LETTURE DI UGO

A CURA DI ANTONIO BOTTONI

 

OGNI SETTIMANA VENGONO PRESENTATI UN LIBRO ED UNA FOTOGRAFIA

Saltuariamente verranno pubblicate proposte di letture infrasettimanali


Antonio Bottoni

Dottore Commercialista e Revisore Contabile. Sensibile alle innovazioni tecnologiche ha anticipato i tempi proponendo ai propri collaboratori e ai propri clienti un nuovo e agile metodo di lavoro: dal “basta carta” a favore di documenti solo in formato elettronico, a postazioni di lavoro in remoto e assistenza informatica e digitale. Insomma, quello che un decennio dopo si sarebbe chiamato smart working! Appassionato di Etica ed Economia, pittore, amante della musica attende con trepidazione un nuovo Rinascimento Italiano.


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La guida consente di ricostruire l’attività romana e napoletana dell’architetto ticinese Domenico Fontana (1543-1607) e di precisare la cronologia delle sue opere, attraverso una serie di itinerari puntuali e ampiamente illustrati che ne mettono in luce l’effettivo ruolo di protagonista nell’architettura del tempo. Giunto a Roma ventenne, da semplice stuccatore diventerà l’architetto di Sisto V, e, assecondando il programma di rinnovo urbanistico voluto dal papa, cambierà il volto di Roma. Nei cinque anni del pontificato di Sisto V (1585-1590) Domenico Fontana è attivo in più di trenta cantieri: costruisce palazzi, cappelle e acquedotti, spiana strade, eleva obelischi. Dalla costruzione o ampliamento dei palazzi pontifici del Vaticano, del Laterano e del Quirinale, per i quali Fontana modula in infinite variazioni il linguaggio michelangiolesco, alla sistemazione di piazze e spazi urbani, in cui vengono collocati e restaurati obelischi e colonne dell’antica Roma (come gli obelischi egizi in piazza San Pietro e al Laterano, la Colonna Traiana e quella di Marco Aurelio) eletti a fulcro prospettico e simbolico delle nuove arterie, Sisto V e il suo architetto impostano la nuova immagine della Roma dei papi. Un grande riconoscimento avrà Domenico Fontana anche a Napoli, dove riceverà l’incarico di progettare e costruire il Palazzo Reale, uno degli edifici più imponenti della città.


Foto pubblicata da Emma Bonino. Cose che possono succedere nella nostra città.

Cola di Rienzo (1313-1354) è il cittadino romano più famoso del Medioevo. Fu in rapporto con il papa, con l’imperatore, con Francesco Petrarca; si mise a capo del popolo romano, assumendo il titolo di «tribuno augusto», per riportare l’Urbe agli antichi fasti. Di quest’uomo ambizioso, contraddittorio, tuttora misterioso e sfuggente, l’autore ricostruisce l’intera parabola, dal primo affacciarsi nel complesso mondo politico dell’epoca fino al tragico epilogo consumatosi nel corso di una violenta sommossa popolare, mentre nel capitolo finale ne tratteggia il mito lungo i secoli.


Ponte di Ferro, foto di Amedeo Giaccheri

Solo dieci anni fa Milano era vista come una città produttiva, elegante, ma grigia. Poi, con l’Expo2015, ha assunto l’immagine di una metropoli splendente e attrattiva. Il passaggio però non è la conseguenza di una trasformazione oggettiva ma, all’opposto, è la metamorfosi fisica a essere effetto di una campagna di marketing senza precedenti, il cui successo è stato ottenuto spostando le risorse materiali e intellettuali destinate alla produzione di cultura, ricerca, servizi di welfare verso la produzione dell’immagine di una metropoli globale del lusso. L’aspetto più perturbante dell’intero processo è il ruolo giocato dalla finanza, impegnata in una doppia missione: concentrazione della ricchezza attraverso la privatizzazione della città pubblica, dei suoi spazi e delle sue istituzioni sociali e culturali; cattura o neutralizzazione delle forze che potrebbero produrre attrito nel sistema e lotta alle disuguaglianze.


Lungo il Tevere , foto di Adelier49

Il racconto di oltre cinquant’anni di storia cittadina attraverso le vicende umane e artistiche del grande attore romano: dalle borgate del secondo dopo guerra al Globe Theatre di Villa Borghese, passando per gli irripetibili anni del night club, dei teatri cantina, di “A me gli occhi, please”. «A Roma con Gigi Proietti» è un viaggio nella storia e nei luoghi del grande artista romano.

 


Bellearti dal 1825 Dal sito di Poggi

 


Il “Don Chisciotte della Mancia” è l’opera più nota di Miguel de Cervantes Saavedra, nonché uno dei capolavori della letteratura mondiale; vede al suo centro una delle coppie più proverbiali della nostra cultura: l’impavido e sognante idalgo don Chisciotte, e il suo fido scudiero Sancio Panza. Una coppia sgangherata e in cerca di assurde e comiche avventure, in cui il sogno utopico del “cavaliere” s’accompagna alla più cruda realtà dello scudiero: il romanzo racconta, difatti, il tramonto d’un epoca – il secolo d’oro – imbastita di vecchi e ingialliti ideali, nonché l’inadeguatezza della nobiltà nel far fronte al nuovo che sorge tra le ceneri d’un tempo andato. Col capolavoro di Cervantes (pubblicato in due tempi, nel 1605 e nel 1615), si dà effettivo inizio a una nuova letteratura, in cui trova presa e vigore lo humour. Eppure una presa di coscienza finale che, seppur mediante la leggerezza e il riso di avventure e obiettivi spropositati, passa dall’idalgo al lettore: il divario tra immaginazione e realtà dei fatti, tra il sogno d’un uomo e la sua difficile realizzazione.

“Io combatto contro tre giganti, caro Sancho; questi sono: la paura, che ha radici forti e che afferra gli esseri e li trattiene affinché non oltrepassino il muro di ciò che è socialmente consentito o accettabile. L’altro è l’ingiustizia,
che sta alla base del mondo travestito da giustizia generale, ma che è una giustizia istituita da pochi per difendere interessi meschini ed egoistici. L’altra è l’ignoranza, anch’essa vestita o travestita da conoscenza e che inganna gli esseri facendogli credere di sapere quando in realtà non sanno e credono di avere ragione quando non ce l’hanno. Questa ignoranza, travestita da conoscenza, fa molti danni, impedisce agli esseri di andare oltre la linea del riconoscersi e conoscersi realmente”.
“Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, scrittore, poeta e drammaturgo spagnolo.
Don Chisciotte è il simbolo della cieca fede in un ideale che resiste a qualunque oltraggio, il suo scudiero Sancho invece l’allegoria vivente del buon senso.

 


 

Foto di Roksolana Pipchack in Foto di Roma

 


Pier Paolo Pasolini tradusse il Miles Gloriosus nel 1963, in tre settimane, su richiesta di Vittorio Gassman che aveva progettato di portare in scena il testo di Plauto. L’allestimento non venne realizzato, ma quella traduzione arrivò sulle scene alla fine dello stesso anno, suscitando le immancabili discussioni e polemiche. Nel misurarsi con la lingua di Plauto, nel ritrovarne l’anima e nel ridarle vita, la scelta del traduttore fu duplice. In primo luogo, l’uso del romanesco: utilizzando con sapienza “un italiano tra Belli e Molière”, scrive nella sua prefazione Umberto Todini, Pasolini è riuscito “a mimare la pulsione vitale, liberatoria, anti egemonica, culturale o teatrale che sia”, dell’originale. Strettamente legato a questa opzione linguistica, è poi il richiamo all’avanspettacolo: l’unica possibilità, secondo Pasolini, per recuperare “qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di così sanguignamente plebeo, capace di dar luogo a uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante, tra testo e pubblico”.

 


 

Mario Scaccia nel Vantone di Pasolini,  materiale fotografico del Teatro di Roma

TEATRO. Autori attori e pubblico nell’antica Roma
catalogo della mostra
A cura di Orietta Rossini, Salvatore Monda, Lucia Spagnuolo

Bibliotheca Archaeologica, 82  2024, 450 pp.  Brossura, 21,5 x 28,5 cm  Catalogo della mostra Museo dell’Ara Pacis, Roma
La forza vitale degli spettacoli teatrali, la loro popolarità, le vite a volte difficili degli attori e degli altri grandi protagonisti del mondo dei ‘ludi’ a Roma.Sono solo alcuni dei temi proposti dalla mostra, che vuole andare ‘oltre’ la scena, offrendo un taglio ‘drammatico’ in senso filologico: una ricostruzione viva, in cui gli stessi protagonisti delle scene antiche – presenti in filmati creati ad hoc – coinvolgeranno il pubblico a rivivere le atmosfere che si respiravano tra le gradinate dei grandi teatri romani, che riflettevano – divise per ordini – le gerarchie sociali e di genere della Roma repubblicana e imperiale. Un racconto che parte dalle radici greche, magno greche, etrusche e italiche del teatro romano, dall’origine religiosa del ‘ludus’ e dai primi palcoscenici in legno, per arrivare allo splendore dalla frons scenae dei grandi teatri per decine di migliaia di spettatori, architetture che – come il foro o il tempio – caratterizzeranno la forma urbis dell’impero.


L’effimero in scena. Omaggio al Teatrino Scientifico dell’Estate Romana
Nata dall’esigenza di reagire alla difficile atmosfera che si respirava a Roma negli anni del terrorismo e della criminalità, l’Estate Romana, ideata e promossa da Renato Nicolini durante le giunte di Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli, portò le iniziative culturali fuori dalle loro sedi tradizionali, nelle strade, nei siti archeologici, nei parchi, nello spazio pubblico.
In occasione dei suoi 40 anni, l’Estate Romana rivive al MAXXI con la ricostruzione parziale di uno dei luoghi più iconici della sua storia
Per la terza edizione del 1979 gli architetti Franco Purini e Laura Thermes furono invitati a trasformare la costellazione di singoli interventi in un unico progetto di scala urbana, il Parco Centrale, per allargare il centro della vita urbana di Roma ben oltre il vecchio recinto delle mura aureliane e offrire una prima risposta possibile all’emarginazione delle periferie. Una delle opere che costituivano la struttura portante di questa città effimera (progettata da U. Colombari, G. De Boni, F. Purini, D. Staderini, L.Thermes) era il Teatrino Scientifico di via Sabotino.
Un’architettura fatta di progetti effimeri, capace di disegnare scenari appropriati per gli eventi e la vita urbana
Il MAXXI, in collaborazione con lo studio Purini Thermes, ricostruisce nella sua piazza una parte del teatrino originale, riproponendo idealmente quello che Nicolini amava chiamare il Meraviglioso Urbano “in grado di produrre movimento, di formulare nuove ipotesi, di rinnovare la cultura e la politica stessa”: un progetto che, con una serie di spettacoli, conferenze e workshop dedicati a discuterne l’eredità e l’attualità, celebra i quarant’anni dalla prima edizione dell’Estate Romana e sottolinea le potenzialità delle attività culturali e artistiche come strumento primario della riqualificazione della città e delle comunità che la abitano.


 

Franco Purini e Laura Thermes, Teatrino Scientifico di Via Sabotino, Roma 1979. Courtesy Fondazione MAXXI

Se ci fosse una mole minore di documenti, forse il caso Moro sarebbe più chiaro. Allo stesso modo, se ci fosse un vero segreto di Stato sulla vicenda – come pensa buona parte dell’opinione pubblica – forse sarebbe tutto più semplice perché basterebbe aspettare. Questi sono due dei principali paradossi dell’affaire Moro, in cui il rapimento e l’uccisione dell’uomo politico sono momenti consequenziali ma distinti che devono essere analizzati in modo autonomo per restituire una verità storica credibile sulla vicenda. Gotor illustra le anomalie, le contraddizioni e le difficoltà metodologiche in cui si imbatte chi studia il caso Moro e spiega perché esso rappresenta un evento eccezionale nella storia nazionale e internazionale del Novecento e non solo.


Rino Barillari in mostra a Roma con le fotografie sulla Dolce Vita, foto di Rino Barillari

 

La città antica nasce per aggregazione spontanea di famiglie o per migrazione di gruppi omogenei in altre terre. È fondata con un rituale religioso che infonde alle mura e al fossato un valore magico non solo di confine, ma di difesa dalla natura selvaggia e dalla barbarie. I suoi abitanti hanno in comune il tempio del dio tutelare, il codice, la difesa; l’area cinta da mura riproduce lo schema del cosmo e rappresenta lo Stato, la patria, la sola comunità concepibile dall’uomo. Nel caso di Roma, sotto l’influsso di vari fattori culturali, quella concezione circoscritta si ampliò fino ad abbracciare i territori conquistati e i popoli soggiogati e finì per coincidere con l’idea di mondo civilizzato: Urbs = Orbis. Ma quando, per la pressione barbarica e la disgregazione interna, incominciò il declico dell’impero e l’attesa della sua fine, l’immagine della Città si trasferì su un piano metafisico; esserne cittadino non consisté più nell’esercizio di determinati diritti e doveri, ma nell’adesione a una legge suprema, valida per tutta l’umanità; la Città-Stato divenne la Civitas Dei.


Campo de’ Fiori
9 giugno 1889 inaugurazione del monumento a Giordano Bruno.
Foto pubblicata da Bruno Fiorini


L’itinerario completo di tutte le fontane romane, un dissetante percorso nella Capitale Mondiale per l’Acqua. Con 95 acquerelli delle fontane più belle. Illustratori: Edoardo Casini, Lucia Giochi, Grazia Savelli. Allegata al volume la mappa di Roma “The Drinking Fountain City Map”. Sono chiamate Nasoni le tipiche fontanelle che danno acqua al popolo romano sin dal 1874. Per capire a cosa possa servire una mappa dei Nasoni – e anche di tutte le altre fontanelle entro le Mura di Roma – e perché sia valsa la pena di passare tanto tempo a cercare, controllare, archiviare e fotografare le fontanelle che per tanti nostri contemporanei rappresentano solo uno “spreco di acqua”, conviene interrogarsi sui motivi che hanno condotto a istallarle. Ecco perché esistono i Nasoni: Ragione idraulica Le strutture idrauliche dei sotterranei di Roma necessitano di valvole di sfogo, che appunto sono i Nasoni. Lo spreco dell’acqua dei nasoni è circa dell’1% mentre lo spreco nelle tubature si avvicina al 50%. Ragione sanitaria Il continuo sgorgare dell’acqua evita la stagnazione, principale causa della proliferazione di batteri. Ragione sociale A Roma l’acqua potabile è accessibile a tutti, gratis: ai bambini, a chi ha difficoltà ad usare le mani e anche agli animali.


Fontana all’Orto botanico. Foto di Silvia Maria Di Battista

«Il rapporto conflittuale degli italiani col proprio inno nazionale era ed è un sintomo evidente della relazione difficile, spesso imbarazzante, con la propria storia e soprattutto con quella più recente, di un popolo che ancora oggi stenta a riconoscere il filo rosso che lega le nostre battaglie risorgimentali all’antifascismo, alla Resistenza e ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale». Fin dal suo primo apparire l’inno di Mameli ha conquistato gli italiani, che subito lo hanno riconosciuto e sentito come espressione autentica del loro desiderio di unità e libertà. Vicende storiche e un linguaggio di non immediata comprensione hanno poi contribuito a oscurarne il messaggio di pace e di fratellanza, che lo distingue da altri inni più celebrati, a cominciare dalla Marsigliese. Il libro di Massimo Castoldi ci accompagna alla scoperta del significato autentico del testo, liberandolo dalle incrostazioni del tempo. Ci restituisce le prime redazioni autografe e a stampa e porta alla luce il ricchissimo patrimonio di fonti che lo hanno nutrito, svelando l’intreccio di ispirazioni e suggestioni, colte e popolari, celate nei suoi versi. Scritto a Genova nel 1847 sotto l’influsso di ideali mazziniani e repubblicani – e presto musicato da Michele Novaro -, seguì il suo giovane autore sulle barricate delle Cinque giornate di Milano, fino alla morte nella difesa della Repubblica romana del 1849. Cantato dai Mille di Garibaldi, celebrato da Carducci e Pascoli, fu ammirato da Verdi e da Toscanini. La monarchia gli preferì la Marcia reale e il primo fascismo lo mise al bando, salvo poi strumentalizzarne alcuni versi in direzione violenta e xenofoba. Parte della Resistenza lo fece proprio. Nel ’43 fu cantato dai confinati a Ventotene, mentre andavano verso la nave che ridava loro la libertà, e in questo spirito fu proposto come inno nazionale all’indomani del referendum da cui nacque la Repubblica. Era però una disposizione provvisoria. E nel secondo dopoguerra, tra individualismo crescente e perdita di sentimenti collettivi, periodicamente l’inno fu al centro di critiche, dibattiti e appropriazioni maldestre. Parodiarlo era diventato un vezzo di una parte della cultura di sinistra, cantarlo sull’attenti una consuetudine diffusa dell’estrema destra. Non è un caso se si è dovuto aspettare il 2017 perché fosse ufficialmente riconosciuto come inno nazionale: la storia della ricezione dell’inno di Mameli è anche e soprattutto la storia della controversa relazione degli italiani con l’idea di patria.


Piazza Sant’Ignazio, foto di Filippo Neri

 

 

L’autore è convinto che le bellezze di Roma si apprezzino meglio seduti a una buona tavola, soprattutto perché in nessun altro luogo come nelle sue trattorie si può conoscere la straordinaria vitalità del “popolo romano”. Per questo, dopo una quarantennale esperienza diretta, ha creato 344 schede di altrettanti esercizi gastronomici della capitale, descrivendone i menù, le particolarità e attribuendo a ognuno un “voto prezzo” e un “voto qualità”. Gli esercizi sono suddivisi in base alla loro localizzazione per quartieri. Condizione essenziale per essere inclusi nella presente guida gastronomica: il prezzo che non deve mai superare i 30 euro per i menù di terra, i 35 per quelli di mare e i 20 per le pizzerie. Anche il voto qualità è stato attribuito in base a criteri oggettivi. Ma agli eredi di Romolo è sempre piaciuto mangiar bene e ciò è la miglior garanzia.


Memorie di Roma del 1988, foto di Davide Mazzella II

 

C’è sempre stato un legame speciale tra Italia e Vaticano. Tra alti e bassi, abbiamo alle spalle venti secoli di convivenza tra il cuore del cattolicesimo e la terra gentile che gli ha dato sede e ha avuto in cambio fede. La coppia Stivale-Cupolone ha resistito a tutto, anche alla occupazione di Roma da parte degli italiani a suggello del Risorgimento. Ora è cambiato tutto, radicalmente. La separazione è un dato di fatto. La crisi italiana è figlia di quella europea. La classe dirigente – politica e culturale – sta trasformando il Vecchio Continente in un dirittificio, in balìa di una tecno-scienza che promette l’avvento dell’homo-Deus, stadio estremo dell’utopia rivoluzionaria. Ma non tutto è perduto. Uomini e donne di buona volontà, con l’aiuto del Cielo, possono fare miracoli. È già accaduto. Potrebbe accadere di nuovo.


Il Cupolone di notte : Foto di Roberto P pubblicato in Roma Fanpage

Questa antologia illustra alcuni dei maggiori scempi perpetrati o pensati ai danni del nostro patrimonio urbanistico e ambientale dal dopoguerra fino ad oggi: sventramento di centri storici, lottizzazione di foreste, parchi nazionali e litorali, strade inutili o dannose, devastazione di natura e paesaggio, speculazione edilizia, distruzione e manomissione dei beni culturali. Articoli scritti da Antonio Cederna tra il 1949 e il 1993, assieme agli interventi parlamentari e alle proposte di legge a sua prima firma: la vita di un archeologo-giornalista che si è dedicato alla sistematica denuncia dei «limiti dello sviluppo» e di progetti insensati e nocivi promossi, con la complice ignoranza di politici e amministratori, da tutte quelle forze economiche che traggono le loro fortune dal saccheggio di territorio e ambiente.


Ex Arsenale Clementino Pontificio Via Portuense  Foto di Gilda Agostini

Archeoastronomia nel Pantheon di Roma: quando la luce dà spettacolo. La scoperta dell’Arco di Luce e del Quadrato di Luce. Capolavoro assoluto dell’architettura romana, il Pantheon ha la cupola in cemento non-armato più grande del mondo. Questo libro ne spiega i segreti costruttivi, e ripercorre la sua storia millenaria da Augusto ad Adriano. Parla di Archeoastronomia e delle sue straordinarie magie luminose: l’Arco di Luce ed il Quadrato di Luce. Si vedono solo per pochissimi giorni all’anno e scopriremo i segreti del loro significato simbolico.


La Centrale Montemartini, foto di Alessandro Chiacchiararelli

Un approfondimento che racconta gli avvenimenti principali dei giochi olimpici che si sono tenuti a Roma nel 1960, attraverso immagini e parole che fanno rivivere tutte le emozioni di quel magico evento.


“Alfredo Berra un profeta fra atletica e giornalismo” pubblicata da Roma2024

Per tutti gli atleti, che lasciati i vocianti campionati studenteschi di atletica di Roma (fra tutti quelli dell’Armellini e del Righi), era il dottor Berra. Fu lui che li portò, prima con il Centrale e quindi con il Cus, a gareggiare nelle competizioni romane ed in quelle nazionali, e poi a partecipare, a diverso titolo, alla XXVII Olipiade e alle successive. Alfredo Berra, grande organizzatore e giornalista di atletica, sfortunato, morì giovane. In molti lo ricordano ed tutti hanno apprezzato il suo nome allo Stadio Alfredo Berra in luogo di “degli Eucalipti “.

*nota di Antonio Bottoni


 

Proprietà dei Barberini dalla metà del XVII secolo e quindi di Maffeo Sciarra, venne trasformata nel 1902 dal nuovo proprietario, Giorgio Wurts, secondo il gusto neobarocco in auge in quel periodo, e consegnata nel 1930 dagli eredi a Benito Mussolini. Nel primo decennio del 2000 sono stati effettuati restauri che hanno riportato all’antico splendore il casino nobile, le diverse fontane che adornano la villa, (la fontana dei satiri, la fontana di Diana ed Endimione etc.), il grazioso ninfeo eclettico, l’esedra arborea, uno degli angoli più suggestivi della villa.

L’area in cui si trova la villa, tenuta fin dai tempi antichi ad orti e giardini, fu acquisita nel 1575 da Mons. Innocenzo Malvasia che vi edificò il Casino Malvasia, ora nel terreno di proprietà dell’Accademia Americana.

La costruzione delle Mura Gianicolensi, condotta sotto il pontefice Urbano VIII nel 1642-44, valorizzò notevolmente il complesso trasformandolo in villa urbana.

Nel 1647 venne donata da Domenico Vaini “vita natural durante” al cardinale Antonio Barberini, già proprietario del Casino Malvasia, mentre nel 1710 fu venduta al cardinale Pietro Ottoboni che la mantenne con grande raffinatezza e cura fino alla sua morte (1740). Il suo interesse per la villa lo indusse a far realizzare tre nuovi giardini, ad ampliare la coltivazione di piante da frutto, ortaggi, piante ornamentali ed esotiche, e a promuovere alcuni importanti scavi nell’area del tempio siriaco (1720).

Divenuta di proprietà degli Sciarra, la villa fu ingrandita e abbellita con l’acquisto dell’orto Crescenzi (1811) e la realizzazione di diversi manufatti di servizio.

Nel 1849, all’epoca della Repubblica Romana, il Casino Barberini e l’adiacente Casino Malvasia, vennero fortemente danneggiati dai combattimenti tra le truppe italiane, guidate da Giuseppe Garibaldi e le truppe francesi. I Barberini restaurarono il Casino nelle forme originarie, ma la proprietà venne definitivamente persa da Maffeo II Sciarra in seguito a speculazioni finanziarie sbagliate. Il terreno intorno alla villa venne quindi diviso in lotti e destinato ad area edificabile, mentre la villa, dopo tumultuose vicende, comuni a gran parte delle villa romane, fu acquistata il 15 maggio 1902 da Giorgio Wurts, un americano appassionato di giardini, e da sua moglie Henrietta Tower, ricca ereditiera di Filadefia.

I Wurts, nell’intento di ricreare lo scenario di una villa barocca italiana, sistemarono nel parco le celebri statue settecentesche in arenaria, provenienti dal Castello Visconti di Brignano d’Adda, nel bergamasco. Argomento dei gruppi scultorei – simboleggiato da temi quali la personificazione dei Mesi, di Apollo e Dafne, Pan e Siringa, Diana ed Endimione – il succedersi delle stagioni e delle attività produttive della terra. Nel 1906 si avviò il progetto per la costruzione del Castelletto in stile neogotico, realizzato nel 1908-1910, mentre nel 1908 vennero iniziati i lavori per la realizzazione degli ingressi di Via Calandrelli. Nel 1910 venne aggiunto al progetto della nuova recinzione un belvedere a loggiato scoperto con sottostante ninfeo, oggi solo parzialmente conservato.
Nel 1930, dopo la morte del marito, Henrietta Wurts donò la villa a Benito Mussolini, ponendo la condizione che fosse destinata a parco pubblico.

Nel corso del 2004-2005 sono stati effettuati interventi di restauro del verde del parco.


Villa Sciarra, 1929 dall’archivio Fortepan. Pubblicata da Delia Sampo’ in Memorie di Roma

 


L’Europa, prima al mondo, si è dotata di una carta dei diritti digitali che rappresenta il punto più alto della strategia digitale europea. Un vero e proprio contratto sociale con i cittadini dell’Unione. Come è nata la carta digitale europea? Quale idea dell’innovazione persegue? Come cambia la vita dei cittadini. E soprattutto: avrà successo? Il libro è un viaggio nella nuova carta dei diritti digitali, firmata il 15 dicembre 2022 dai rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione e della Commissione europea: capitolo per capitolo Roberto Viola e Luca De Biase ne spiegano il significato, l’impatto sulla società e come i principi si traducono in realizzazioni concrete sul piano normativo e tecnologico; discutono del disegno europeo e della grande sfida di coniugare innovazione, inclusione e garanzia delle libertà individuali in una società sempre più connessa e basata sui dati e gli algoritmi. Ogni argomento viene affrontato in maniera rigorosa, lasciando da parte i tecnicismi, e richiamando i fatti di cronaca e il lavoro dietro le quinte per inquadrare meglio la genesi della carta e della strategia digitale europea con un occhio sempre rivolto al futuro: per dare un’idea della prospettiva che la sua adozione traccia per i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni europee.


Teatro in piazza, pubblicata da Amedeo Giaccheri

Il tema delle periferie urbane è oggi strategico perché la città contemporanea si definisce proprio a partire da quei luoghi in cui vive la gran parte della popolazione, con situazioni di marginalità e di degrado ma anche di forte partecipazione e creatività. Sul ripensamento delle periferie si gioca dunque una delle partite politiche e culturali cruciali dei prossimi anni. Questo libro restituisce una diversa rappresentazione della periferia, a partire dal luogo che a Roma accoglie la sua immagine più negativa, ovvero Tor Bella Monaca. Enorme quartiere di edilizia residenziale pubblica degli anni ottanta, esso è l’emblema stesso del massiccio intervento pubblico, della concentrazione del disagio sociale e urbanistico, della periferia degradata e quindi anche dello stigma e della ghettizzazione. Guardando oltre gli enormi problemi del quartiere, emerge tuttavia una grande vitalità, un contesto di iniziative sociali e di autorganizzazione, un’importante produzione culturale, un laboratorio variegato di innumerevoli progettualità. Frutto di una ricerca multidisciplinare sul campo in collaborazione con le realtà sociali locali e con gli altri soggetti attivi sul territorio, questo volume riunisce contributi di urbanisti, ingegneri, sociologi, antropologi in un originale lavoro sfaccettato, così come d’altronde è la realtà indagata. A questi linguaggi se ne affiancano altri, più narrativi, come i racconti e le fotografie, che restituiscono in maniera icastica il vissuto degli abitanti e gli immaginari che si intrecciano profondamente con la vita quotidiana. Tor Bella Monaca, dunque, come punto di partenza per un ripensamento della periferia nel suo complesso e dei modi di strutturare gli interventi per la sua riqualificazione.


Aggiungo questa mappa con l’intento di rappresentare un fenomeno sociale in più letture dei suoi aspetti: immagine e quindi percezione, dottrina e dati.
A.B.

#mapparoma25 – L’esclusione sociale nei quartieri di Roma

 


Chiesa di Santa Maria Madre del Redentore , pubblicata da Wikipedia

In una società in cui l’evoluzione tecnologica appare sempre più rapida e l’innovazione fluida e dinamica, l’Intelligenza Artificiale (AI) permea e conforma silenziosamente le nostre vite.

In tale prospettiva, il giurista è chiamato a svolgere una funzione ordinante che ponga l’algoritmo non in sostituzione dell’essere umano, bensì al suo servizio. 

Muovendo da tale consapevolezza, questo contributo traccia le coordinate del rapporto uomo – algoritmo e propone riflessioni sull’incidenza dell’AI sul pensiero umano e sui diversi campi applicativi del diritto. 

Attraverso un’analisi critica della più rilevante regolazione vigente in materia, il presente saggio delinea una panoramica delle maggiori questioni giuridiche sollevate dagli utilizzi dell’Intelligenza Artificiale, approfondendo profili trasversali di estrema attualità, quali le forme di automazione della decisione amministrativa, la tutela della privacy nell’ambito del circuito investigativo, la nuova figura dei c.d. smart contract, il diritto all’oblio, l’eredità digitale e l’utilizzo dell’AI nei campi assicurativo e medico.
*libro suggerito da Piero Sandulli


Fiumicino in tilt, foto pubblicata da Donatella Ercolano

Una storia di robot, una storia di alieni, una storia di computer. La meglio Fantascienza, si potrebbe dire, raccolta in tre racconti usciti dalla grande stagione di questo filone narrativo. Un delirio di ipotesi plausibili o assurde, giocose o grottesche, che mostra come tutto possa essere rigirato, contraddetto, rimesso in questione, con una libertà intellettuale assoluta. Età di lettura: da 13 anni.


Lo scatto del giorno, Palma Bucarelli e Carlo Giulio Argan foto pubblicata da Micro


Un caso mai risolto, un commissario alla ricerca della verità Capodanno 1938.   Il gotha della società fascista si è riunito in una villa sull’Appia Antica per festeggiare la notizia del prossimo arrivo a Roma di Adolf Hitler in visita ufficiale. Nel corso della serata, però, sparisce la figlia undicenne del padrone di casa, il potente gerarca Cucchi, a cui Mussolini ha affidato da poco la supervisione del cerimoniale per la visita del Führer. Giunto sul posto per indagare, il commissario della Mobile Marcello Toscanini riconosce subito la firma del rapitore: un fazzoletto di seta bianca. La stessa firma che dieci anni prima aveva sconvolto le notti degli inquirenti in una celebre vicenda finita per lungo tempo su tutti i giornali. Lo spettro di Girolimoni torna ad aleggiare su una Roma che si prepara ad accogliere il leader del nazismo e che non può permettere a un delitto irrisolto di minare la sua credibilità internazionale. Per questo, quando le piccole vittime cominciano a susseguirsi a ritmo inquietante, Mussolini decide di far scendere in campo l’OVRA, il suo temutissimo servizio segreto. Tra agenti deviati che cercano di attentare alla vita di Hitler e le pressioni di Mussolini che vuole approfittare del caso per liberarsi di tutti gli oppositori politici, Toscanini, ormai esautorato dall’incarico, è l’unica persona a cui interessi davvero la sorte dei bambini rapiti e per salvarli è disposto a tutto… Un fazzoletto di seta per ogni anima innocente uccisa, un filo rosso sangue che unisce passato e presente, un’indagine destinata a scuotere la Roma fascista fin dalle fondamenta. «Roberto Genovesi è un maestro.» Andrea Frediani «Genovesi ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ha bisogno della dose quotidiana di adrenalina.» Panorama «Un avvincente romanzo storico.» Il Sole 24 Ore Roberto Genovesi È giornalista, scrittore, sceneggiatore e autore televisivo. Direttore di Rai Libri, ha collaborato con i più importanti periodici e quotidiani italiani. Insegna Teoria e Tecnica dei linguaggi interattivi e crossmediali in diverse università. Con la Newton Compton, oltre ai primi cinque volumi della saga della Legione occulta (La legione occulta dell’impero romano; Il comandante della Legione occulta; Il ritorno della Legione occulta. Il re dei Giudei, I due imperatori e I guardiani di Roma), ha pubblicato La mano sinistra di Satana, Il Templare nero, Il leone di Svevia, la trilogia La legione maledetta (Il generale dei dannati, La fortezza dei dannati e L’invasione dei dannati), Il ragazzo che liberò Auschwitz (finalista al premio Acqui Storia) e Il mietitore di angeli. I suoi romanzi sono pubblicati anche in Spagna, Portogallo e Inghilterra. Vigiles in Tenebris è la pagina Facebook ufficiale dedicata ai suoi romanzi.


A Roma la stazione metro Vittorio Emanuele riapre al pubblico dopo due mesi

Giambattista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 – Roma, 1778) è considerato l’ultimo grande esponente dell’incisione veneta del Settecento. La sua attività ha influenzato non solo architetti, ma anche scenografi, pittori, e letterati.
Nell’ambito degli studi avviati in occasione dei trecento anni dalla nascita, il volume pubblica il corpus di incisioni piranesiane presenti nelle collezioni permanenti dei Musei Civici di Bassano del Grappa, che comprende alcune delle più celebri Vedute di Roma, cui si aggiungono i tomi delle Antichità Romane, e la celebre serie delle Carceri d’invenzione.
Un ricco catalogo, completato da un’appendice documentaria e da una selezione epistolare che, grazie ai prestigiosi contributi accolti, guida verso una conoscenza approfondita di Piranesi e della sua opera magnificamente onirica ma al contempo potentemente concreta, capace di colpire la fantasia degli osservatori, un tempo come oggi.


Castel Sant’Angelo, foto di Claudio Colis

 


“La meraviglia del possibile” è la rivista trimestrale dell’Università che si propone come luogo d’incontro tra scienze sociali, scienze umane e scienze esatte, attraversando differenti materie e ambiti di studio e ricerca: economia e filosofia, letteratura e poesia, politica e innovazione, semiotica e fumetti, per uno sguardo non convenzionale sulle questioni del presente. Con oltre cento pagine e uno stile grafico retrofuturista “La meraviglia del possibile” nasce con l’intento di raccontare, spiegare e indagare i temi più urgenti della contemporaneità attraverso linguaggi diversi, con interviste, rubriche, tavole a colori, contributi inediti, realizzati grazie alla collaborazione continua tra docenti Luiss e le più autorevoli voci del panorama italiano e internazionale.


 

La scala elicoidale, pubblicata da Roma nascosta

 

Unico e insostituibile strumento di lavoro quotidiano per il vasto mondo di storici, archeologi, studiosi di letteratura e di arte antica e medievale, il Cappelli, pubblicato per la prima volta nel 1899, è un repertorio di abbreviature usate nelle carte e nei codici, specialmente del medioevo, riprodotte con oltre 14.000 segni incisi, con l aggiunta di uno studio sulla brachigrafia medievale, un prontuario di sigle epigrafiche, l antica numerazione romana e arabica e i segni indicanti monete, misure, pesi. La nuova edizione presenta, oltre a notevoli aggiunte e correzioni, un significativo numero di nuove abbreviazioni ricavate attraverso uno spoglio sistematico di fonti antiche, tardoantiche e medievali. 7ª edizione aggiornata a cura di Mario Geymonat e Fabio Troncarelli


Giulio Cesare pubblicato da Roma Capitale

Quattro secoli di storia raccontati attraverso i ritratti degli imperatori romani, da Augusto a Costantino, e un’antologia di testi che delizierà chi trova piacere nell’osservare le fisionomie e nell’immergersi con occhio curioso nelle vicende di Roma.


“Obesità veicolare” pubblicata da Luca Dan

L’espressione ‘clero romano’ indica, oggi, allo stesso tempo il clero della Chiesa cattolica e quello proprio della città di Roma. La sovrapposizione dei due concetti è il frutto di un processo storico di grande interesse, che questo libro ricostruisce nelle sue varie fasi e nei differenti aspetti.

Il clero romano, che nell’altomedioevo aveva avuto una dimensione soprattutto diocesana, dal pieno XI secolo assunse la connotazione di clero proprio della città, il Clerus Urbis, appunto, dedito alla cura d’anime degli abitanti e all’amministrazione delle chiese di Roma. Parallelamente si sviluppò e accrebbe enormemente la sua importanza un altro organismo, quello della Curia romana. Il gruppo di ecclesiastici che la componevano era fortemente qualificato dalla vicinanza con la persona stessa del papa e dal fatto che svolgeva funzioni di carattere universale.

Al Clerus Urbis sono stati dedicati numerosi studi, ma molto raramente la sua storia è stata posta in relazione con quella della città stessa. Dall’altra parte, il gruppo di quei chierici romani che vissero e servirono nelle splendide chiese dell’Urbe, non è mai stato oggetto specifico di una ricerca.

L’indagine qui proposta permette, dunque, di considerare insieme, nell’arco di sei secoli, la Storia di Roma e la Storia della Chiesa, con tutti i loro illimitati intrecci e connessioni. Sotto questo aspetto, il libro presenta un’interpretazione nuova e fornisce numerose informazioni inedite.


Il muro delle bambole, foto di Paola Baroni

La storia della Società Ippica Romana (attiva già nel 1926 e nata al debutto di quel decennio), della Società Romana di Equitazione (1930) e della Farnesina (1934) – poi confluite il 12 giugno del 1945 in un unico soggetto denominato nuovamente Società Ippica Romana – costituisce buona parte della storia dello sport equestre italiano moderno, quello che rinasce dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli uomini di maggior riferimento della Sir lo sono anche per la Fise, sia nel ruolo di dirigenti sia in quello di tecnici: ma soprattutto alcuni tra gli atleti nati tra le mura di quelle scuderie e su quei terreni diventeranno formidabili fuoriclasse di valore mondiale. Quale centro ippico o scuola di equitazione può infatti dire di aver dato i natali a ben quattro vincitori di medaglie olimpiche individuali, due di queste per giunta d’oro? La storia e la vita della Farnesina costituiscono un fenomeno senza eguali sulla scena dello sport equestre italiano e internazionale.


Sant’Omobono fiorito, foto di Salvatore Monni


La rivisitazione della fiaba classica del Pifferaio di Hamelin della coppia Brand-Riddell attualizza la storia, con lo spirito arguto, dissacrante e irriverente che contraddistingue i due. Assurdi personaggi popolano le vie di Hamelin: fra ratti anarchici e ragazzini viziati, svetta la figura del pifferaio magico, moderno e accattivante. L’arrogante e altezzosa gente di Hamelin e la loro storia prendono vita grazie alle inimitabili illustrazioni a colori di Chris Riddell.


Roma patriottica dell’epoca papalina, foto di Sandro Bardaro

 


L’impegno per un’architettura della libertà che si fa forma e spazio creativo del dissenso come luogo di incontro e dialogo delle culture, nel racconto straordinario di Fernando Miglietta con Bruno Zevi, attraverso un diario e un carteggio inedito con l’amico e speciale compagno di viaggio, grande storico dell’architettura, geniale urbanista e intellettuale che ha segnato il secondo Novecento della cultura, delle idee e della critica architettonica. «Caro Miglietta, […] Superfluo dire che queste “sette invarianti” non sono un dogma e che uno ha perfettamente diritto di non tenerne conto…» (Bruno Zevi, Roma 20.V.1980)


9Maggio, viva l’Europa! Foto di Antonio Bottoni

La storia del Teatro Argentina colma un’obiettiva lacuna nell’ambito della letteratura su Roma. Lacuna tanto più avvertita proprio nel momento in cui l’antico Teatro costruito dal Theodoli torna ai romani per riprendere ad assolvere una sua precisa funzione culturale rinnovata nei termini e nelle prospettive, aperta alle nuove esigenze di una moderna città in espansione, sensibile e aderente alla diversa e più complessa domanda culturale di una cittadinanza assolutamente composita e varia, ricca di fenomeni, di capacità, di bisogni ideativo-espressivi…
Distinguere, nella ricostruzione della lunga vicenda del Teatro Argentina, come ha fatto l’autore del libro, il piano tecnico – edilizio – architettonico da quello propriamente teatrale può apparire – a prima impressione – come un erudito e analitico preziosismo didascalico. In realtà questa distinzione consente di individuare e comprendere il senso della continuità storica – pur nella diversità delle esperienze e delle soluzioni nel tempo maturate e adottate – del Teatro come edificio e come espressione di costume (cioè di esigenze e modalità culturali).
E da questo senso di continuità risalta come il recente restauro non sia stato e non sia un’opera né di preziosa «imbalsamazione» (per salvare il prestigioso edificio dai guasti del tempo), né di iconoclastica trasformazione; pur essendo riuscito a fondere il rispetto e la difesa della particolare individualità storico-architettonica del Teatro con la esigenza di farne, da un santuario riservato, un funzionale punto di incontro e di riferimento per tutti i cittadini della Roma di oggi.
Così, d’altra parte, dalla storia «teatrale» dell’Argentina risalta la sua capacità di essere in ogni momento «contemporaneo» capace di esprimere le mutevoli esigenze delle varie epoche, di legarsi cioè alla cultura del tempo, di essere il Teatro della città. Oggi dovrà esserlo in modo nuovo, diverso da quello della città del Theodoli e dei Cesarini-Sforza, diverso da quello della Roma belliana, della capitale umbertina, della generazione degli anni venti a cavallo tra il decadentismo della fuggente «Belle Époque» e l’insorgenza della mitologia imperiale…
Il volume peraltro si presenta da sé e in modo assolutamente adeguato e raffinato, anche da un punto di vista formale. Il ricco materiale illustrativo che accompagna il testo, rappresenta una documentazione formidabile – ancor più preziosa perché in gran parte finora inedita – che non solo completa visivamente la precisa ricostruzione storica, ma la vivifica e accentua il senso di contemporaneità e attualità delle vicende del Teatro.
Un’opera erudita ma viva, modernamente impostata e realizzata, dalla quale emerge – sia pur considerata da un particolare punto di osservazione – la storia del costume dell’ultimo secolo e mezzo di Roma papale e dei primi cento anni di Roma capitale. Un’opera che mancava e che soprattutto viene a collocarsi come preziosa testimonianza nel vivo di un dibattito culturale tutt’ora aperto, e che interessa non una ristretta cerchia di cultori della Roma di ieri, ma i cittadini di questa nostra Roma d’oggi.»
[Clelio Darida, Sindaco di Roma].
Note bibliografiche


Vigna Venerati, foto di Raffele Majo


«Per oltre un secolo della strage del 1922 non si parlerà più. Rimarrà ai margini della storia ufficiale e gli stessi abitanti del quartiere ne conserveranno un ricordo confuso, che sfumerà nel corso degli anni. Un pezzo dimenticato del nostro passato, che vale la pena indagare per assegnargli finalmente uno spazio nella memoria del paese». Il 30 ottobre 1922, mentre le ultime colonne della marcia su Roma entrano in città e Mussolini presenta al re la lista dei ministri del suo primo governo, un centinaio di fascisti armati fa irruzione nel quartiere di San Lorenzo e apre il fuoco contro passanti e abitanti. È un attacco del tutto gratuito, politicamente inutile ai fini della conquista ormai avvenuta del potere, privo di qualsiasi logica, se non quella della vendetta. Gli squadristi hanno come unico obiettivo quello di punire gli abitanti di una zona della capitale in cui non sono mai riusciti a entrare e dove, quando hanno provato a farlo, sono stati sempre respinti. Ne nasce un lungo conflitto a fuoco tra camicie nere, esercito e militanti dei partiti di sinistra che lascerà sul terreno un numero imprecisato di vittime, tutte tra gli abitanti del quartiere. Il generale Pugliese darà subito ordine di trasportare i corpi al cimitero del Verano, per seppellirli «senza cerimonia funebre, per evitare nuovi disordini». In questo modo, di quei morti e della loro storia si perderà traccia e memoria. A poco più di cento anni di distanza, Gabriele Polo ricostruisce la genesi e la cronaca di quella giornata, restituendo un volto e una voce a chi ne rimase vittima e allo stesso tempo riportando alla luce, con una narrazione quasi in presa diretta, le tensioni che attraversarono quei momenti davvero fatali. Nel libro, la strage di San Lorenzo, immediatamente oscurata e rimossa, assume le caratteristiche di un episodio emblematico, nel quale è possibile ritrovare gli elementi che, da quel momento in poi, caratterizzeranno l’era fascista: la violenza, l’eversione, l’impunità e la propaganda, che trasformerà gli atti criminali di quei giorni nel mito della rivoluzione del duce.


30 giorni in bici a Roma, foto di Mobilità sostenibile VIII


Nella parte prima di questo volume Mario Baldassarri e Dino Pesole presentano un’analisi di quarant’anni di Spending Review in Italia, dalla Commissione Tecnica sulla Spesa Pubblica di Nino Andreatta fino alla recente stagione dei Commissari. La loro conclusione è: “L’Italia al bivio sui tagli di spesa” quindi “tagliare si deve, tagliare si può” indicando “dove e come intervenire”. In tutti questi anni la spesa pubblica corrente è sempre aumentata, le tasse ne hanno seguito affannosamente e solo parzialmente il percorso e gli investimenti pubblici sono stati dimezzati. Ecco perché il Debito Pubblico si colloca oggi oltre il 130% del Pil. Segue un’analisi della Nota di Aggiornamento Def del 27 settembre 2018 dalla quale emerge che il governo Lega-M5S ha sovrastimato sia la crescita reale sia l’inflazione. Inoltre la manovra proposta nella Nota di Aggiornamento “cambia” appena il 2,2% del totale della spesa pubblica e quindi il restante 98% circa resta uguale a quello di tutti i governi precedenti. Si “muove” un modesto 1,1% del Pil e pertanto l’effetto previsto di forte sostegno alla crescita risulta non raggiungibile. Le condizioni di finanza pubblica potrebbero quindi risultare ben peggiori di quanto previsto. In sostanza il “cambiamento” non appare. Le seconda e la terza parte del volume riproducono il XII Rapporto sull’economia italiana del Centro Studi Economia Reale. La seconda parte contiene cinque Analisi. Nella prima si misurano gli effetti che si potrebbero produrre sull’Italia a seguito di un rallentamento del commercio mondiale come risultato di una forte e prolungata “guerra dei dazi”, segue poi un’analisi volta a stimare l’effetto di un’eventuale uscita dall’euro sull’ammontare di interessi sul debito pubblico per i quali risulta che dovremmo pagare 66 miliardi di euro in più. La terza analisi spiega perché l’aumento dell’occupazione degli ultimi anni non si è riflesso sull’andamento dei consumi. Ciò appare in gran parte dovuto alla tipologia e alla precarietà dei posti di lavoro che si sono creati. La quarta è riferita alle Tax-Expenditure ed emerge che, a fronte dei 161 miliardi contabilizzati dal Mef, soltanto 40 miliardi sembrerebbero effettivamente eliminabili. Infine, si propone un confronto tra metodo retributivo e metodo contributivo nel sistema pensionistico italiano cercando di verificare chi e quanto ci guadagna o ci perde con i due sistemi. La terza parte infine presenta le Previsioni per l’Economia Italiana 20182022 prodotte nel mese di aprile 2018. Con i contributi di: Nicola Antonetti, Mario Baldassarri, Leonardo Becchetti, Sarina Biraghi, Claudio Borghi, Pierluigi Ciocca, Ferruccio De Bortoli, Giorgio Di Giorgio, Lamberto Dini, Stefano Feltri, Giampaolo Galli, Sandro Gozi, Barbara Lezzi, Lucio Malan, Antonio Pedone, Dino Pesole, Giuseppe Pisauro, Felice Roberto Pizzuti, Emilio Rossi, Stefania Tamburello, Giovanni Tria.


“Auguri Roma” foto di Ahmed Youssef

 


Una serie di itinerari alla scoperta della Roma di Pitagora, partendo dalla misteriosa Basilica Neopitagorica di Porta Maggiore, scrigno del pensiero del filosofo di Samo. Il concetto di un ordine del mondo che prende forma nel numero è il principio guida che ci permette d’interpretare alcuni monumenti e complessi urbanistici dalle origini di Roma alla contemporaneità. Analizzare la nascita e lo sviluppo della tradizione pitagorica romana significa metterla in relazione con le altre correnti della cultura esoterica che hanno animato la capitale. Il pitagorismo a partire dal XVIII secolo, viene ricondotto alla Massoneria, della quale costituisce un punto di riferimento imprescindibile, per poi confrontarsi nel Novecento con la Teosofia di Madame Blavatsky, l’antroposofia di Rudolf Steiner e il tradizionalismo pagano di Arturo Reghini e Julius Evola. Un altro aspetto che emerge da questo testo riguarda l’arte, la musica e l’architettura che, fra Ottocento e Novecento, utilizzano ampiamente le forme geometriche di derivazione pitagorica per elaborare quel processo di astrazione che caratterizza gran parte dell’arte contemporanea.


Terme di Caracalla, foto di Claudio Colis

Facendo ricorso alle più recenti acquisizioni degli scavi archeologici e degli studi, il volume presenta in maniera sintetica ma completa i Fori imperiali, uno dei siti più rappresentativi di Roma. Oltre alla storia delle indagini del sito, si espongono le vicende legate alla trasformazione della sua immagine e del suo assetto urbanistico nel corso dei secoli, senza tralasciare il valore simbolico che talvolta fu attribuito ad alcuni dei complessi che vi si trovano. Particolare attenzione viene infine riservata allo stato attuale dell’area, alla sua accessibilità e all’offerta rivolta ai visitatori in termini di fruibilità. La ricca bibliografia che chiude il testo permette di approfondire le diverse tematiche trattate.


“TEUTOBURGO A ROMA” foto di Roberto Morassut


Non un partito, ma uno «spartito», un manifesto per rilanciare il ruolo politico della società civile, grande ricchezza del nostro paese. Il mondo così com’è non ci piace: guerre, crisi climatica, crisi economica, crisi dei diritti, disuguaglianze, povertà. Eppure il tempo che stiamo vivendo è un’occasione: proprio questo è il momento per cambiare rotta, invertire la marcia. Serve uno spartito che cambi la musica, un piano, un metodo diverso. È da questa consapevolezza che nasce Piano B, un progetto collettivo che unisce diversi esponenti della società civile allo scopo di proporre un’alternativa al modello di sviluppo dominante. Da dove iniziare? Al centro del discorso politico va riportata la persona, intesa in tutte le sue dimensioni. Ciò significa abbandonare la prospettiva individualistica: la persona è tale perché è in relazione con il resto dell’umanità e tutte le forme di vita, è aperta all’altro e all’infinito; la persona esiste solo in rapporto al luogo in cui vive, all’ambiente nel quale si colloca, all’insieme dei rapporti che costruisce. Puntare sulla persona significa prendersene cura dalla nascita alla morte, investendo sulla sua educazione e formazione; preoccuparsi del lavoro e dell’abitare; adoperarsi per la tutela dell’ambiente, per la rigenerazione dei territori e delle forme democratiche dello Stato. Significa, inoltre, ripartire dalla Costituzione e impegnarsi per metterla in atto. Piano B muove dalla certezza che l’attuale modello di sviluppo è malato, il progresso economico di per sé non garantisce la felicità: la domanda più profonda di «ben-vivere» ci spinge a porre l’attenzione su altri fattori, come la salute, l’istruzione, la qualità della vita relazionale, la crescita e la ricchezza delle opportunità. Per realizzare questo progetto, alle due mani tradizionali dell’economia (mercato e istituzioni) deve unirsi una terza mano – delle imprese e delle organizzazioni sociali responsabili – e una quarta – della cittadinanza attiva. Un sistema a quattro mani è l’unico in grado di promuovere la crescita e la vitalità della società civile, che è la vera forza della democrazia. La sfida per un futuro più desiderabile passa da un rilancio della partecipazione. Per rispondere alla complessità del presente, Piano B propone dunque un nuovo paradigma sociale e civile, declinato in diciassette parole fondative e fortemente legato ai concetti di generatività, solidarietà e sostenibilità, così presenti nel pensiero e nelle azioni di papa Francesco. Per ognuna di queste parole si parte dall’interpretazione angusta e limitante della cultura contemporanea per aprire l’orizzonte verso una visione più ampia e generativa, che mette in connessione il pensiero con le buone pratiche che già esistono nel nostro paese, ma che spesso restano in sordina. Un progetto politico ambizioso, quello del Piano B, che mira a far risuonare la sinfonia dell’Italia attiva, facendo emergere una visione comune, in grado di incidere sull’opinione pubblica e sulla politica. Com’è già accaduto in occasione della recente riforma costituzionale promossa dalla società civile, che ha portato a introdurre nella Costituzione lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell’ambiente, per la tutela delle future generazioni. Continuando su questa strada, la scommessa di Piano B è quella di diventare un punto di riferimento aggregante, che aiuti a orientare il cambiamento verso un benessere diffuso, equo e sostenibile.

 


Il Faro del Gianicolo pubblicata da Trastevere app

Roma, 24 marzo 1944: in una cava sulla via Ardeatina, i tedeschi uccidono 335 uomini sparando a ognuno un colpo alla testa. Sono prigionieri politici e partigiani di tutte le forze antifasciste, civili e militari, molti ebrei, alcuni detenuti comuni e ignari cittadini estranei alla Resistenza, sacrificati in proporzione – che poi si rivelerà sbagliata per eccesso – di dieci a uno in seguito a un attacco partigiano in via Rasella, costato la vita a 33 militari del Reich. È il più grande massacro compiuto dai nazisti in un’area metropolitana e segnerà profondamente la storia e la memoria italiana del dopoguerra. Dell’eccidio delle Fosse Ardeatine molto si sa. Poco invece si conosce delle vicende individuali delle vittime, alle quali – tranne poche eccezioni – fino ad ora nelle cerimonie e nelle pubblicazioni era dedicata solo una riga con le generalità in un lungo elenco. Questo libro per la prima volta racconta la loro storia, una per una.


La casa dove vissero Federico Fellini e Giulietta Masina a via Margutta, foto di Bruno Letta.

Il volume di Filippo Coarelli inaugura una collezione di “Storia dell’arte romana” in più volumi, che vuole soddisfare l’esigenza di disporre insieme di dati aggiornati e di adeguata riflessione storiografica. Con un metodo originale l’autore basa la sua indagine sul dialogo continuo tra i dati archeologici e la tradizione classica sulle origini di Roma (tradizione elaborata successivamente ma, sostiene, ormai confermata dagli scavi ben più di quanto si pensasse fino a poco tempo fa). Il discorso che ne nasce, ancor prima che formale e stilistico, è anzitutto volto a tracciare un quadro di contesto. Nei secoli più antichi, quelli della Roma dei re, la città si trovava all’incontro di due mondi artistici ricchi e vivaci – quello etrusco a nord e quello greco-italico a sud – e costituiva una periferia artistica dove influenze e modalità espressive di varia provenienza si intrecciavano e interagivano con la sensibilità locale. Nell’età dei re, Roma apparteneva a un territorio relativamente omogeneo, quello dell’Italia tirrenica, i cui segni si colgono nell’urbanesimo, nell’autorappresentazione dell’aristocrazia, nella celebrazione del sovrano, nei templi e nell’introduzione della scrittura. Nella prima parte dell’età repubblicana iniziano a prender forma componenti proprie, in un continuo scambio di somiglianza e differenza rispetto ai mondi circostanti. Il quadro politico è cambiato, con il mutamento di regime politico all’interno, con l’espansione nel Lazio e la creazione di colonie.


“Carlo Alberto Salustri: Trilussa che ha esaltato la sua Roma del popolo e dei borghesi nei suoi versi.” Foto di Loredana Roccatano Lodico in Foto Romane e del Lazio.

La statua è dello scultore Lorenzo Ferri. Il professor Ferri aveva lo studio a Monteverdevecchio, insegnava alla scuola Manzoni e le sue opere sono oggi conservate al Museo Ferri di Cave. Di particolare suggestione il Presepe monumentale. Nella figura inginocchiata davanti alla Sacra Famiglia lo scultore ha rappresentato se’ stesso. Commento di A.B.



Il volume raccoglie i risultati della ricerca promossa da Unindustria per affrontare il tema della Capitale e delle sue prospettive di crescita nel quadro delle sfide di status, posizione, contenuti delineate dalla “Legge Delrio”. Diverse dimensioni della crescita metropolitana si intrecciano con l’intensificarsi della competizione territoriale e la necessità di sostenerla, adottando forme organizzative d’area vasta e regionali, guardando alla cooperazione per attrarre e radicare attività produttive ad alto valore aggiunto e capitale umano fortemente qualificato in un contesto capace di offrire servizi, accessibilità e qualità della vita. Corposi riferimenti scientifici e documentari internazionali, analisi comparative e di contesto, accompagnano la pubblicazione che assegna a Roma Capitale Città Metropolitana, alla Regione che la integra a livello nazionale, ai territori e alle imprese, una posizione centrale nella politica europea, sottolineandone il dato fisiologico distintivo nelle sfide innovative assunte dal Paese. La tradizionale visione di una Roma monocentrica è superata in favore di una nuova visione tendenzialmente policentrica, articolata in 11 Unioni di Comuni che includono i municipi romani trasformati in comuni autonomi. A questo si affianca la visione di una regione Lazio, anch’essa policentrica, funzionale alla costruzione di Agende territoriali sussidiarie che vedono insieme Regione, Roma Capitale Città Metropolitana, Province del Lazio.


“Si spengono i rumori, si accendono le luci, la notte scende sull’Appia Antica…” foto di Alberto Vitelli

Quest’opera è un libro nel libro in cui Manganelli scrittore da un lato illumina “Pinocchio” di una luce nuova e dall’altro dà forma all’ennesimo paesaggio della propria poetica. Il classico di Collodi diventa così più terrificante ma anche più euforico, più enigmatico ma anche più ricco di risonanze metaforiche e simboliche. E in particolare il percorso di Pinocchio, personaggio insieme umano, animale, vegetale e ultraterreno, mosso sin dall’inizio da “una vocazione metamorfica e insieme teatrale”, da un “occulto, multiforme futuro”. Questo percorso, infatti, altro non è se non l’attraversamento del Regno dei Morti, che ha il suo centro nel cuore del libro, ma che si estende a tutta la topografia collodiana.


La pace dei droni pubblicato da Marco Fiocchi

È un’autobiografia collettiva quella che ci racconta Matteo Amati, dalla quale non emerge solo un ’68 diverso da quello che vede protagonisti studenti e operai, ma tutta «un’Italia diversa» – come scrive Guido Crainz – «minoritaria per vocazione e per essenza, generosa per natura e per scelta». Dall’infanzia a Bagni di Tivoli, a fianco dei lavoratori nelle cave di travertino, alle battaglie per l’obiezione di coscienza, dall’esperienza nelle baracche dell’Acquedotto Felice con don Roberto Sardelli alla comunità di Capodarco, dal movimento per il recupero delle terre incolte alla creazione di cooperative sociali: anche quando approda all’impegno istituzionale, la vita di Amati procede senza sosta a fianco degli ultimi, in difesa dell’integrazione e dei diritti degli emarginati, dei portatori di handicap fisici o di disagio psichico. E non mancano gli incontri: don Luigi Di Liegro, Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli, Pio La Torre, Antonio Cederna, Danilo Dolci, visti come maestri e come compagni di strada, sfilano insieme a uomini e donne che non trovano posto nelle ricostruzioni ufficiali, ma che di quelle storie hanno fatto parte e non vogliamo dimenticare. Prefazione di Guido Crainz.



Il colosso di Costantino, foto di Tatina Viola

Siamo arrivati all’ultimo giorno di servizio delle MA 100 sulla Roma-Lido, dopo più di 40 anni di esercizio. Le ultime MA 100 il 31 luglio 2018 andranno definitivamente in pensione, perché ormai non potrebbero in alcun modo superare le verifiche USTIF – l’Ufficio speciale trasporti a impianti fissi.
Ne abbiamo raccontato la storia, che poi sarebbe la storia della Roma-Lido e della nostra Ostia degli ultimi 20 anni, oltre a parlare delle caratteristiche tecniche di questi treni, per capire cosa non è andato in questo esperimento che risale agli anni di Veltroni Sindaco.
Purtroppo per noi questo periodo storico è stato l’ultimo in cui si è parlato di dare un futuro alla Roma-Lido con cognizione di causa, avendo una visione.
Da questo momento in poi è stata solo agonia.
Un libro scritto sia per gli amanti del trasporto pubblico in generale, che e soprattutto per gli amanti della storia del nostro territorio in particolare, ma anche un testo in stile Odissea Quotidiana, che racconta con ironia la storia della Feccia del Male.


“Siamo diventati famosi…” foto pubblicata dal Comitato pendolari della Roma Lido

This book entails the first complete English translation of Giuseppe Vasi’s Itinerario Istruttivo Diviso in Otto Giornate (1777). Unlike other guides to Rome written in the eighteenth century, Vasi’s was woven into a more extensive oeuvre dedicated to the documentation and visualization of the Eternal City. In the introduction, this book tells the dynamic story of Vasi’s comprehensive representation of Rome from part to whole that he pursued his entire professional career. Titled Eight Days in Rome with Giuseppe Vasi, the book follows the author, mapping his itinerary onto Giovanni Battista Nolli’s Nuova Pianta di Roma (1748). In addition, it provides contemporary photographs of the buildings and urban spaces he illustrates and describes in the text to provide modern readers with a better understanding of the evolution of the city’s urban environment. Finally, this project analyzes how historical travel literature such as Vasi’s can expand our present knowledge of a city’s evolution, and those who contributed to its development, including the female saints, matrons, artists, and architects often left out of the guidebook tradition and history in general.

Questo libro costituisce la prima traduzione inglese completa delle ” Otto Giornate a Roma con  Giuseppe Vasi ” (1777). A differenza di altre guide di Roma scritte nel XVIII secolo, quella di Vasi era inserita in un’opera più ampia dedicata alla documentazione e alla visualizzazione della Città Eterna. Nell’introduzione, questo libro racconta la storia di Roma  nel suo sviluppo  vista dal  Vasi,  durante tutta la sua carriera professionale. Intitolato Otto giorni a Roma con Giuseppe Vasi, il libro segue l’autore, mappando il suo itinerario sulla Nuova Pianta di Roma di Giovanni Battista Nolli (1748). Inoltre, fornisce fotografie contemporanee degli edifici e degli spazi urbani da lui illustrati e descritti nel testo per fornire ai lettori moderni una migliore comprensione dell’evoluzione dell’ambiente urbano della città. Infine, questo progetto analizza come la letteratura di viaggio storica come quella di Vasi possa espandere la nostra attuale conoscenza dell’evoluzione di una città e di coloro che hanno contribuito al suo sviluppo, comprese le sante, le matrone, gli artisti e gli architetti spesso esclusi dalla tradizione e dalla storia delle guide turistiche.


Il foro della Pace, foto di Sandro Sciosci

Il volume è il catalogo della mostra di Roma (Mercati di Traiano, 28 settembre 2002 – 19 gennaio 2003). La mostra espone 240 opere che rappresentano divinità, ritratti di imperatori, animali, barbari prigionieri, elementi di arredo ed architettonici, elementi di rivestimento, colonne, capitelli, blocchi di cava ecc. Opere anche di grandi dimensioni come la statua colossale di imperatore seduto in porfido che proviene da Israele, oppure del tutto inedite come la ricostruzione del trofeo con barbari inginocchiati che vede per la prima volta riuniti assieme i due esemplari custoditi a Napoli e a Copenaghen.


La bottega del marmoraro, foto pubblicata dalla Bottega del Marmoraro

Con un percorso inedito, non privo di affondi leonardeschi e caravaggeschi, la pubblicazione celebra Rubens e il suo tocco di Pigmalione, alla ricerca di una nuova definizione del naturalismo seicentesco. Il volume è il catalogo della mostra “Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma” alla Galleria Borghese di Roma (14 novembre 2023 – 18 febbraio 2024). La pubblicazione restituisce l’intenso dialogo di Rubens con la scultura: non solo quella antica, appassionatamente ‘riportata in vita’ dall’artista fiammingo nei disegni realizzati nel corso del suo importantissimo soggiorno italiano (1600-1608), ma soprattutto quella moderna. Della produzione plastica rinascimentale (in primis Michelangelo) Rubens fu tenace osservatore, di quella a lui contemporanea fu fervido ispiratore e spesso un inatteso punto di riferimento anche per gli scultori italiani. Grazie al suo patrimonio straordinario, il museo romano mette in scena confronti altrove impossibili, a iniziare da quelli tra la grafica di Rubens e i marmi di Gian Lorenzo Bernini. Inoltre, la mostra e il catalogo valorizzano l’importanza per l’artista di Anversa del modello tizianesco, ancora compulsato dai suoi seguaci fiamminghi negli anni venti proprio dentro alle sale della dimora pinciana.


Piazza del Popolo , foto di Roksolana Pypchak

Una guida-passeggiata a Roma attraverso i film e la vita di Nino Manfredi nell’anno del suo centenario; l’infanzia a Castro de Volsci, l’arrivo nel quartiere di San Giovanni, il ricovero al sanatorio Forlanini, le lunghe notti del ’43, la Roma del dopoguerra con le partite di pelota allo Sferisterio Barberini e gli americani a Ciampino, il boogie-boogie, l’Accademia di teatro e i primi successi al cinema. Nino Manfredi, attore, regista, cantante, musicista, teatrante, è stato l’altra voce di Roma, la voce di un romano venuto da “fuori”, un attore fra i più versatili della storia del cinema, che ha spaziato nei generi e nelle epoche. Nino ha raccontato la Roma dei Papi con Luigi Magni e la Roma di Rugantino con l’omonimo musical, la Roma del fascismo con Zampa e Damiani e la Roma del dopoguerra con Scola, la Roma degli immigrati e la Roma del terrorismo. Ha vestito i panni del contadino romano e di Pasquino, del monsignore e dell’immigrato, rappresentando sempre le due facce opposte della città.



“Stamattina va così…” foto di Mobilità Sostenibile VIII

Questo volume studia la trasformazione di quella che era stata la capitale dell’Impero Romano in una città ancora grandissima, ma svuotata della sua popolazione; ancora piena dei grandi e lussuosi monumenti antichi, ma impossibilitata a curarli, mantenerli, abitarli. In essa, la presenza del papato diventava via via più pervasiva, i monumenti cambiavano funzione, diventavano chiese, o davano asilo ad abitazioni private, anche modestissime. I risultati di mezzo secolo di archeologia medievale, incrociati con le fonti scritte e con i dati della storia ecclesiastica, politica, sociale, militare, economica, intellettuale e artistica, fanno di questo volume il più aggiornato e approfondito ‘profilo’ del paesaggio urbano di Roma apparso da ormai più di quarant’anni, che ingaggia il lettore in un viaggio lungo un millennio, dalla fine dell’era antica alle soglie del Rinascimento. Sarà una lettura essenziale per chiunque voglia capire i modi e le ragioni di questa millenaria trasformazione, e meglio comprendere la struttura e la storia della Citt


Apertura del Parco Archeologico del Celio e il nuovo Museo della Forma Urbis , foto di Michela Foianesi

Nell’anno del Giubileo, di una crisi politica senza precedenti per la città di Roma e di una campagna elettorale sulla quale incombono ancora gli scandali di Mafia Capitale, il volume collettivo Rome. Nome plurale di città propone una lettura articolata dei problemi e delle dinamiche della Capitale. Raccolti da Giorgio de Finis e Fabio Benincasa, quarantanove interventi di artisti e intellettuali di diversa provenienza ed esperienza culturale – dai beni comuni (Tomaso Montanari) all’accoglienza delle comunità migranti (Amara Lakhous), dalla crisi degli spazi abitativi (Paolo Di Vetta) a quella dell’immaginario “eterno” (Valerio Magrelli), dalla gestione dei musei (Pablo Echaurren) all’integrazione (Igiaba Scego) – compongono una visione larga e sfaccettata di ciò che è – e soprattutto di ciò che può ancora essere – la Roma contemporanea, scevra di autocommiserazione e libera dalle sabbie mobili del nichilismo urbano. Un’analisi di Roma da una prospettiva nuova, differente e trasversale.


“La cappa mazzoniana ” pubblicata da Lilli Ticchi in Roma Scomparsa


Stendhal ripercorre l’incendio della basilica di San Paolo del 1823, raccontando in una lettera nuovi dettagli che lo rendono forse corresponsabile di quella tragedia; Nikolaj Gogol’ sfugge al colera riparando a Roma e innamorandosi, oltre che della cucina locale, anche delle poesie di uno sconosciuto poeta, tale Belli, che riuscirà a incontrare nel salotto della principessa Volkonskaja; un giovanissimo Romain Rolland, a Roma con una borsa di studio, approfitta della lontananza dalla famiglia per farsi conoscere come pianista ed emanciparsi dall’oppressivo controllo della madre; Malcolm Lowry, sotto i fumi dell’alcol, aggredisce l’avventore di un bar per poi girovagare liberamente per la città incontrandone i gentili fantasmi; John Cheever, per conto del figlio, deve portare a termine a Villa Borghese una missione segreta che è al di sopra delle sue forze e per la quale gli occorrerà il sostegno morale di Esculapio… Cinque scrittori per un romanzo in cinque racconti il cui protagonista è la città che tanti hanno visitato ma pochi hanno davvero conosciuto.


“Hanno preso il trenino per Ostia a tempo debito, per arrivare in orario all’Epifania” foto pubblicata nel 2023 da Alessandra Morgani

 

Un eccezione parziale alla regola del libro che deve riguardare Roma, parziale perchè molti degli architetti del bel libro di Stefano Bucci hanno lavorato e lavorano a Roma.  Una scelta che sono certo Antonio Bottoni condividerà. C.M.

Partiamo da un grande classico contemporaneo, Le Corbusier, dalla sua definizione di architettura formulata nel 1955: «Fare architettura è come fare una creatura: essere riempito, riempirsi, esplodere, esultare, restando freddi in mezzo a circostanze complesse, diventare un cane contento». Impresa esaltante: l’architettura è notoriamente l’atto creativo che più influenza le nostre vite quotidiane con gli edifici, la gestione degli spazi pubblici, gli interventi nei centri e negli edifici storici.

Inevitabile che questa materia politica e civile appassioni un giornalista (forse architetto mancato, chissà) diventando il tema di fondo — in musica si direbbe un basso continuo — della sua produzione. Stefano Bucci, firma culturale del «Corriere» e de «la Lettura», ha raccolto interviste e incontri con 36 protagonisti/e internazionali dell’architettura (L’architettura ha tante anime. Conversazioni, in uscita il 10 novembre per Allemandi) apparsi sul quotidiano e nel supplemento tra il 2004 e il 2023. Bucci premette in incipit che nei suoi incontri «manca il lato tecnico, manca la teoria, manca il gergo degli “addetti ai lavori”, mancano i particolari costruttivi». Ed è un gran bene perché le sue curiosità coincidono con quelle di noi lettori e lettrici normali, privi di tali strumenti. Si va (in ordine alfabetico) da David Adjaye, famoso per il National museum of african-american history and culture di Washington, a Cino Zucchi (suo il centro direzionale Nuvola del Gruppo Lavazza a Torino) passando (solo alcuni nomi) per Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, Zaha Hadid, Gae Aulenti, Jean Nouvel, Paolo Portoghesi, Arata Isozaki, Stefano Boeri, Franco Purini. L’assenza di tecnicismi permette a Renzo Piano, per esempio, di proporre una sua definizione di bellezza: «Una di quelle parole che vanno usate con grande attenzione, come silenzio, una parola che svanisce appena la evochi. Una parola che purtroppo ci è stata rubata dalla società dei consumi che l’ha trasformata in qualcosa di frivolo, inutile, superficiale». Fuksas (conversazione del 2004) racconta il profondo legame con il suo Centro della Pace di Jaffa («perché non è solo “estetica”»), riflessione che oggi appare addirittura profetica.

Adjaye ammette le responsabilità dell’architetto sostenendo che «il più importante problema dell’architettura è quello di rimanere all’interno del cuore delle persone, la luce non deve illuminare solo lo spazio architettonico ma anche il cuore degli uomini. Come architetto penso che l’architettura debba far percepire la gioia di vivere». Certo, vaste programme, avrebbe detto De Gaulle. Ma questa è l’aspirazione. Frank O. Gehry ha un metodo, diciamo, maieutico per aiutare i giovani architetti che lo hanno preso a modello ed evitare loro il successivo rito dell’uccisione metaforica del padre: «Quando mi capita di incontrarne metto la mia firma su un foglio di carta, poi faccio mettere la loro e dico “non copiate la mia, date dignità alla vostra”».

La riflessione di Jean Nouvel andrebbe imparata a memoria da tanti sindaci italiani felici per i numeri del turismo di massa e quindi un po’ «disattenti» sui piani del commercio e della qualità dei negozi: «Voglio città sempre diverse una dall’altra. Voglio città uniche per fantasia, poesia, bellezza. Purtroppo però ci troviamo davanti a città che sembrano tutte shopping center con brutte luci, brutte strade, brutti colori»

Nel 2011 il vocabolo sostenibilità non era ancora entrato nell’uso quotidiano quanto lo è oggi, ma Stefano Boeri già spiegava parlando dell’imminente 2015: «L’orto dell’Expo vuole proporre anche un nuovo rapporto tra sfera urbana, sfera rurale e sfera naturale che veda le tre differenti sfere scambiarsi risorse e opportunità, senza che la prima, quella della città, continui a schiacciare e a dominare le altre due».

Franco Purini, nel 2006, puntava il dito sulla situazione dell’architettura italiana: «In Olanda, a trent’anni, un architetto ha già realizzato almeno un progetto importante. In Italia quello stesso giovane sarebbe ancora in attesa di una possibilità». Sono passati 17 anni e siamo ancora a quel punto. E a quegli stessi giovani sarebbe utile ripassare (testo del 2012) la lezione di Gae Aulenti su come si affronta l’intervento su un pezzo storico: «Tutto per me comincia sempre con un’analisi furiosa dell’edificio e del suo significato. La prima cosa è ritrovarne la funzione senza snaturarne la storia». Dunque nessuna presunzione, la capacità di mettersi al servizio culturale di ciò che si ha tra le mani.

Arata Isozaki (per le note vicende riportate dalle cronache non vedremo mai la sua avveniristica pensilina progettata per i Grandi Uffizi a Firenze) nel 2004 avvertiva: «L’architetto non deve mai essere un politico, non deve mai progettare pensando a tattiche o a strategia di potere. Deve inseguire prima di tutto i suoi sogni, sempre e comunque. Anche a costo di doversi scontrare con la realtà». Viene in mente per analogia la celeberrima esortazione di Pier Paolo Pasolini al direttore della fotografia Tonino Delli Colli durante le riprese di Accattone: «Non abbia paura che la luce sfondi, facciamolo questo carrello contro natura!».

Mettendo insieme tutte le tessere del libro (giornalistico, certo, ma unitario come un saggio per l’unico solco in cui procede) si ha la conferma di quanto davvero l’architettura sia importante per tutti noi, ci renda più o meno disposti a condividere lo spazio con gli altri e quindi a dialogare. Cioè a essere felici.

Ecco i nomi di tutti gli architetti intervistati da Stefano Bucci nel libro L’architettura ha tante anime (dal 10 novembre in libreria per Allemandi): insieme, le conversazioni costruiscono una storia dell’architettura recente vista dai suoi protagonisti. Eccoli, in ordine alfabetico: David Adjaye, Tadao Ando, Alejandro Aravena, Gae Aulenti, Stefano Boeri, Mario Botta, Guido Canali, David Chipperfield e Alessandra Chemollo, Mario Cucinella, Michele De Lucchi, Peter Eisennman, Yvonne Farrell e Shelley McNamara, Massimiliano Fuksas, Frank O. Gehry, Vittorio Gregotti, Zaha Hadid, Arata Isozaki, Diébédo Francis Kéré, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, Lesley Lokko, Thom Mayne, Rafael Moneo, Oscar Niemeyer, Jean Nouvel, César Pelli, Renzo Piano, Paolo Portoghesi, Franco Purini, Carlo Ratti, Richard Rogers, Kazujo Sejima, Wang Shu, Cino Zucchi

Commento di Paolo Conti sul Corriere della Sera.


“Con il naso all’insù a Piazza Navona” foto di Cinzia Fileti

 


Impossessarsi di tutti i nomi che hanno dato in vita a don Lorenzo Milani appare un’impresa impossibile e quasi sacrilega. Lo si chiamerà allora semplicemente μ. In un’edizione arricchita da alcune delle più belle foto di Lorenzo Milani e da alcuni versi del grande cantautore Fabrizio De André, è un omaggio al priore di Barbiana nell’anno in cui si festeggiano i 100 anni della sua nascita.


“Dove inizia il mare” foto di Domenico Bongiovanni pubblicata su Fb


Come si affronta il primo liceo? Ma è ovvio: devi avere tanti follower! Ne è sicuro Valerio, che con i suoi video diventerà un vero influencer. E invece è incastrato in soffitta tra le monete e i libri impolverati di nonno Leone. Tra quelle scartoffie, però, spuntano dei fogli con una mappa e una scritta: Per scoprire il segreto hai bisogno dei migliori auguri. Valerio è incuriosito: che segreto? Il nonno era forse impazzito? E, visto che ogni scusa è buona per non studiare, decide di indagare. Tra statue parlanti e api nascoste, Valerio dovrà seguire gli indizi per svelare un grande mistero: il nome segreto di Roma. Per fortuna ad aiutarlo ci sono Giulia, la sua migliore amica, Gian Marco, un simpatico libraio, e… Achille, il suo arcinemico, il pestifero fratello di Giulia. Che la caccia cominci!


Pubblicata da “Er traffico de Roma ” su internet

 

«In un periodo di così drastici cambiamenti, in cui la resistenza e la capacità di adattamento diventano valori fondamentali, immaginare le nostre città come organismi diffusi e in comunità con il resto del vivente, in breve immaginare le nostre fitopolis costruite come fossero delle piante, potrebbe regalare enormi vantaggi alla nostra specie e al pianeta.»

«Mancuso ridisegna la città del futuro prossimo, in cui la natura dovrà essere riportata all’interno del nostro habitat, in una armoniosa convivenza, che non ha nulla dell’utopia ma che si fa necessità operativa.» – Lella Baratelli per Maremosso

Da troppo tempo ci siamo posti al di fuori della natura, dimenticandoci che rispondiamo agli stessi fondamentali fattori che controllano l’espansione delle altre specie. Abbiamo concepito il luogo dove viviamo come qualcosa di separato dal resto della natura, contro la natura. Ecco perché da come immagineremo le nostre città nei prossimi anni dipenderà una parte consistente delle nostre possibilità di sopravvivenza. Nel volgere di pochi decenni, l’umanità è andata incontro a una rivoluzione nelle sue abitudini ancestrali. Senza che ce ne accorgessimo, la nostra specie, che fino a poco tempo fa viveva immersa nella natura abitando ogni angolo della Terra, ha finito per abitare una parte davvero irrisoria delle terre emerse del pianeta. Cosa è accaduto? Da specie generalista in grado di vivere dovunque, ci siamo trasformati, in poche generazioni, in una specie in grado di vivere in una sola e specifica nicchia ecologica: la città. Una rivoluzione paragonabile soltanto alla transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori avvenuta 12.000 anni fa. È certo che in termini di accesso alle risorse, efficienza, difesa e diffusione della specie questa trasformazione è vantaggiosa. Ma è altrettanto certo che ci espone a un rischio terribile: la specializzazione di una specie è efficace soltanto in un ambiente stabile. In condizioni ambientali mutevoli diventa pericolosa. Il nostro successo urbano richiede, infatti, un flusso continuo ed esponenzialmente crescente di risorse e di energia, che però non sono illimitate. Inoltre, fatto decisivo, il riscaldamento globale può cambiare in maniera definitiva l’ambiente delle nostre città e costituire proprio quella fatale mutazione delle condizioni da cui dipende la nostra sopravvivenza. Ecco perché è diventato vitale riportare la natura all’interno del nostro habitat. Le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, devono trasformarsi in fitopolis, luoghi in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che troviamo in natura. Non c’è nulla che abbia una maggiore importanza di questo per il futuro dell’umanità.


“Ecco lo scopo che dobbiamo raggiungere; non più barriere, non più frontiere” Giuseppe Garibaldi  
Foto di Pazza di Roma su Facebook

La Roma vissuta andando adagio è la caput mundi che raccoglie tanta bellezza e la città di ogni giorno, problematica e caotica, quella che è cresciuta negli ultimi decenni come mai nella sua storia millenaria. Agli occhi di chi la visita o di chi la abita, Roma offre ovunque luoghi degni d’interesse, sia nelle zone centrali sia in quelle periferiche. Si presta alla contemplazione e alla conoscenza, alimenta esperienze culturali e sociali. Rassicura e sorprende al tempo stesso. “Roma adagio” prova a suggerire itinerari fuori dai canoni, ci invita a osservare da vicino i dettagli più suggestivi di opere famosissime e a perderci negli angoli meno conosciuti della capitale. Ci accompagna, adagio, in una passeggiata fra l’eterno e il quotidiano.


Foto di Federico Strinati pubblicata su FB da Claudio Strinati


La vita straordinaria di Gaio Giulio Cesare diventa per la prima volta un’autobiografia. Nel suo turbinare di scelte imponderabili e di strategie politiche, di relazioni difficili con donne dalla personalità forte ma anche pronte al sacrificio di se stesse, nel rutilante susseguirsi di battaglie e campagne militari, la trama della sua esistenza compone i tratti di una figura complessa e sfaccettata. Capace di arrivare dalla sua Suburra alle cariche più alte dello Stato e a ineguagliabili trionfi, il suo temperamento – sempre in bilico tra freddezza lucida e sincera generosità, l’amore per la grande tradizione dei padri e una visione alessandrina del mondo – lo ha reso un simbolo ineguagliabile, destinato post mortem a diventare un dio. Dall’esilio volontario per sfuggire alla mano di Silla all’inizio della sua carriera politica e al pontificato, dalla congiura di Catilina alla campagna in Gallia, dal passaggio del Rubicone alla campagna africana e agli attimi precedenti il tragico epilogo delle Idi di marzo: nel memoriale che scrive a Gaio Ottavio – futuro Cesare Augusto – e in cui lo nomina suo erede, Giulio Cesare ripercorre in prima persona i momenti cruciali di un vivere al galoppo, in sella alla sua celeberrima Fortuna, nella consapevolezza che la vita è un lancio di dadi e la vittoria una dea con le ali. Brillante divulgatore delle vicende dell’antichità, Cristoforo Gorno si confronta, da romanziere, con una delle figure fondamentali di tutto il mondo classico, e con una scrittura capace di restituire sapientemente atmosfere e paesaggi, emozioni e momenti d’azione, psicologie dei protagonisti e intrighi di potere, disegna la parabola di un’esistenza in cui avventura, guerra, intelligenza strategica e abilità politica si trasformano nel racconto crepitante di un’intera epoca e di una città che diventa impero. Un romanzo di rigore storico e spessore letterario che solo un profondo conoscitore dell’età antica poteva concepire.


Fra le vie di Roma, foto di Giovanni Tarantelli

Un viaggio coinvolgente alla scoperta delle sentenze che hanno cambiato l’Italia. Giuliano Amato e Donatella Stasio aprono le porte della Corte Costituzionale, un’istituzione che è stata a lungo impenetrabile.

La Corte costituzionale incarna i diritti che la Costituzione riconosce a tutti noi, li nutre e li difende. Ha un potere enorme perché con le sue decisioni insindacabili incide profondamente nella vita delle persone, della politica e delle istituzioni. Eppure, pochi la conoscono, al contrario di quanto accade alle Corti supreme di altri paesi. Non c’è americano o israeliano che non sappia che cos’è, e che cosa fa, la propria Corte, percepita come coscienza del popolo e dei suoi valori. In Italia, invece, la nostra Corte è una semisconosciuta e questo analfabetismo è grave in tempi di “regressioni democratiche” che, in Europa e nel mondo, stanno mettendo a rischio lo Stato di diritto proprio con un attacco alle Corti. Perciò, a un certo punto della sua storia, la Corte italiana decide di cambiare passo e di “viaggiare” – tra i giovani, nelle carceri, nelle piazze – per farsi conoscere. E conoscere. Decide di essere il corpo e soprattutto la viva voce della Costituzione per contribuire a formare una vera “mentalità costituzionale” e una piena coscienza dei diritti. Questo libro racconta i cinque anni in cui quel cambiamento ha preso corpo, le difficoltà, le sfide, i traguardi, le donne e gli uomini che ne sono stati protagonisti, le loro emozioni, le decisioni più delicate. È un pezzo di storia del nostro paese, che i coautori hanno attraversato insieme dentro la Corte, in ruoli e con responsabilità diversi. In quei cinque anni emerge con chiarezza il “dovere” di creare un legame di fiducia con i cittadini, essenziale per la tenuta di una democrazia costituzionale. Questo è il senso politico della comunicazione istituzionale, che non conosce zone franche. La polis, la cittadinanza, ha il diritto di conoscere e di capire, e chi amministra giustizia in nome del popolo non può sottrarsi alla responsabilità di spiegare e farsi capire. Che non è una prerogativa esclusiva di chi fa politica né un compito da delegare a terzi, né un mezzo per guadagnare consensi. È un dovere di ogni potere dello Stato. Un viaggio negli anni dell’apertura della Corte costituzionale alla società civile, per conoscere un’istituzione che ha cambiato l’Italia. Quando nel mondo soffia il vento di sovranismi e populismi, quando i diritti fondamentali vacillano e si aprono scenari di riforme, le Corti costituzionali sono l’antidoto migliore contro le regressioni democratiche.


Foto di Alice Tessari

Il dialogo è tutto nelle relazioni umane e sociali, interromperlo non può che metterle a rischio. Eppure, è proprio questo che avviene quando si manifesta la paura dei Greci e dei Romani, un fenomeno recente in grande crescita: un’interruzione del dialogo fra noi e i classici, fra noi e la storia, fra noi e il passato.

I classici antichi sono diventati soggetti di cui aver paura. Non era facile prevedere che un giorno qualcuno avrebbe messo in guardia i giovani dalla lettura delle opere greche e romane, cospargendole di avvisi di pericolo o addirittura escludendone direttamente alcune dal canone; gli stessi che avrebbero accusato i classici di aver contaminato la nostra cultura con il razzismo, il sessismo, il suprematismo bianco, arrivando al punto di auspicare addirittura l’abolizione del loro insegnamento. Invece è accaduto. Si tratta di un fenomeno recente, ma soprattutto nuovo, inatteso, le cui motivazioni non possono essere ignorate: e come tutte le cose nuove e inattese, ha fatto sì che fosse necessario tornare a riflettere sullo stesso problema – che cosa sono i classici per noi? – da un nuovo punto di vista. Maurizio Bettini ci esorta dunque a tenere vivo il dialogo e a fuggire i pericoli insiti nella sua interruzione. Perché è proprio questo che avviene, quando si manifesta la paura dei Greci e dei Romani: un’interruzione di dialogo fra noi e i classici; non solo, fra noi e la storia, fra noi e il passato.



Foto di Nunzia Seva

Un nuovo prontuario, dalla A alla Z, ricco di consigli letterari per bambini di ogni età ideato dalle autrici del bestseller Curarsi con i libri: rimedi letterari per ogni malanno
Dal bullismo alla tempesta ormonale, dalla paura dei fantasmi ai problemi con i genitori, ci sono occasioni in cui un libro è in assoluto il rimedio più efficace. Forse perché il modo migliore per aiutare i bambini a superare un momento difficile è invitarli a leggere una storia che parli proprio di loro. I libri riescono ad affrontare problemi complessi ed emozioni profonde con trascinante allegria, con l’obiettivo di far provare qualche brivido ma anche, in ultima analisi, di rassicurare. In questa nuova opera le biblioterapiste Ella Berthoud e Susan Elderkin consigliano i testi più belli – a partire dai libri illustrati fino ai romanzi per ragazzi, attraversando il mondo dorato delle favole – per la bambina timida e presa in giro, per il ragazzino che non riesce a dormire, per la teenager che vuole essere indipendente, per chi ha il singhiozzo o ha subito una delusione d’amore, o semplicemente per tutti coloro che sono indecisi sulla prossima lettura. Allo stesso tempo Crescere con i libri si rivela prezioso per gli adulti che si trovano nell’invidiabile posizione di dover scegliere cosa regalare ai loro piccoli: genitori, nonni, padrini e madrine, amici, insegnanti, bibliotecari, librai, zii vicini e lontani. Organizzato come un dizionario medico, a ogni «malanno» viene accostata una cura, sotto forma di una storia, di un racconto breve, di una saga, il tutto suddiviso per età e complessità, dagli albi illustrati per i piccolissimi fino ai libri più adulti per gli studenti delle scuole superiori. Ricco di elenchi e liste utilissime, vi si scoprono i classici senza tempo e i titoli più moderni e contemporanei, famosi o meno. Crescere con i libri è il compagno ideale per iniziare i giovani lettori a uno dei grandi piaceri della vita.


Il Palazzo della Civiltà, foto di Ippazio Gori          

 

Racconto e non semplice cronistoria, perché le vicende di Roma si prestano alla trama di un romanzo. Nel libro la narrazione di eventi, personaggi, eroismi e miserie, s’intrecciano al mutare del panorama urbano e della vita quotidiana nello scorrere delle varie epoche. Ma il pregio della scorrevolezza dello scritto non rinuncia al rigore della ricerca storica e a spunti di analisi. La pubblicazione è perciò indirizzata sia ai giovani che vogliano farsi catturare dall’intrigo delle passioni degli uomini, sia ai più esigenti lettori che vogliano riflettere sul senso più profondo di ogni accadimento storico e politico. E poiché quella di Roma è una storia universale, le pagine non sono confinate nella sola città, ma diventano un affresco dell’intera Italia.


Foto di Livia Cannella

 

 

A oltre centoquarant’anni da Porta Pia, il programma di Roma capitale del Paese è ancora tutto da scrivere. Manca alla città – che pure è stata “caput mundi” -la visione del suo ruolo nazionale e globale: una visione condivisa, costruita non su slogan astratti ma su una vocazione riconoscibile. Proprio la crisi economica e morale che stiamo attraversando, però, può diventare un’opportunità per colmare questo ritardo. Un immenso patrimonio culturale, la qualità delle istituzioni universitarie e di ricerca, la sapienza creativa della sua industria (cinema, moda, design), la straordinaria vivacità delle sue piccole imprese, in particolare di quelle artigiane, così legate alla tradizione ma al contempo proiettate verso il futuro, consentirebbero agevolmente – suggerisce Pietro Abate -, se valorizzati nel modo giusto, di fare di Roma la città dell’intelligenza, dei servizi avanzati e dell’industria manifatturiera ad alto valore aggiunto, la capitale della cultura, della ricerca e dell’innovazione. Nascono così le riflessioni contenute in questo volume da cui scaturisce un’agenda programmatica per un cambiamento non “calato dall’alto”, ma frutto della mobilitazione dei suoi cittadini. Solo in questo modo il sogno di Roma potrà essere finalmente in grado di “competere con le altre grandi metropoli del mondo. Presentazione di Andrea Mondello. Prefazione di Dennis Redmont


Una nuova ciclabile (con intelligenza artificiale) foto di Marcello Mangione

Dopo il ricorso in appello di Mimmo Lucano, alla luce del quadro accusatorio e delle pene richieste dalla procura generale di Reggio Calabria, con particolare attenzione alle valutazioni di ordine etico e giuridico che caratterizzano l’intera vicenda Riace, cittadini solidali, studiosi di scienze sociali e giuristi propongono una riflessione sulla sentenza di condanna del tribunale di Locri. Muovendo da diverse prospettive disciplinari, e corroborati da numerose testimonianze dirette, gli autori mettono in evidenza che la condanna – su cui si basano ancora le richieste dell’accusa nel processo di appello – è solo apparentemente basata su prove di “inequivoco significato”. L’accusa in realtà si fonda, come si evince anche dal linguaggio adottato, su presupposti ideologici tra i più diffusi: dalla “pacchia dell’accoglienza” agli interessi di arricchimento personale o di vari vantaggi che sarebbero stati perseguiti da coloro che operavano in associazioni senza fini di lucro per scopi solidaristici e supplivano con il loro impegno alla incapacità delle istituzioni.


Copenaghen? No, Nomentana Foto di  Francesca Ciuffini

Ostia fu prima un piccolo avamposto militare di Roma alla foce del Tevere (IV secolo a.C.), poi, fra la tarda Repubblica e l’età imperiale, una colonia e un porto fluviale che si sviluppò fino a raggiungere dimensioni ben più ampie, estendendosi sulle due sponde del fiume. Della città il libro illustra, sulla base delle fonti e della ricca documentazione archeologica ed epigrafica, la storia, le istituzioni, i commerci, l’importanza per l’approvvigionamento dell’Urbe, le produzioni, le associazioni di mestiere, l’architettura abitativa, i culti e le relazioni con gli scali di Claudio e di Traiano, dalle origini al declino nella tarda antichità. Vengono inoltre prese in considerazione la storia degli scavi e degli studi, la fortuna del sito nella cultura moderna e contemporanea e la gestione dell’attuale Parco archeologico.


Foto di Giuglio Signorelli


Una rilettura del più importante monumento del Barocco, alla luce di aggiornate informazioni sul Concorso per il progetto del Baldacchino di San Pietro in Vaticano. Inoltre, la ristampa anastatica di una misura secentesca sull’oro da utilizzare nella decorazione, dettagliato computo metrico prodotto nella bottega berniniana. Un prezioso documento archivistico conservato in collezione privata, reso noto per la prima volta in tempi moderni.


Interno di una casa del ‘400 in via dei Coronari Foto di Carlo Guerrieri


L’uomo in questione è un professore universitario: Ranuccio Bianchi Bandinelli, massimo studioso italiano d’arte romana e tra i padri dell’archeologia moderna. Il che, negli anni trenta, faceva di lui un personaggio di cui il regime fascista andava fiero… Salvo che il professore, era un convinto antifascista.


La fontana della dea Roma, Foto pubblicata da Marinella Sgarroni

Il desiderio della città ideale ha attraversato la storia e se ne sono occupati filosofi, artisti, letterati, architetti, politici e scienziati sociali. L’utopia di Tommaso Moro ha segnato il mondo nuovo della modernità che il Rinascimento e le scoperte geografiche sembravano rendere possibile. Nel ‘700 l’Illuminismo ha offerto al mondo un futuro segnato dalla ragione e dalla scienza di cui la città è considerata simbolo e precipitato. Saranno i filosofi e gli architetti a rendere visibile il sogno della città perfetta che il secolo successivo farà proprio anche grazie ai grandi mutamenti politici che, però, insieme alle speranze alimenteranno anche gli incubi. Le utopie producono la propria negazione con le distopie. A partire dal ‘900 saranno le scienze sociali a riflettere sulle potenzialità e i limiti del sogno utopico, spesso centrato sulla tecnologia, di una città ideale di un futuro prossimo venturo. A far sognare contribuirà anche il cinema. Il libro conduce per mano il lettore in questa avventura con una grande ricchezza di riferimenti e di testimonianze per portarlo a chiedersi se sia oggi veramente possibile costruire una città in cui valga la pena vivere


La cultura ci sostiene pubblicata da Pillole di cultura

Sei prestigiosi intellettuali di destra si sono confrontati con sette prestigiosi intellettuali di sinistra esponendo il proprio punto di vista su questa dicotomia e sui concetti più cari alla destra (Dio, Patria, Famiglia) e alla sinistra (Libertà, Uguaglianza, Felicità).
Destra e sinistra riacquistano senso. Dopo più di trent’anni, un’altra Guerra fredda distanzia l’Occidente dall’Oriente e rende conflittuali i reciproci rapporti. Intanto, per la prima volta nell’Italia repubblicana, tre partiti di destra hanno vinto le elezioni e tre formazioni di sinistra sono costrette a fare i conti con se stesse, a precisare la loro identità, a formulare un loro modello identitario di società, a progettare una loro strategia. La crescita delle disuguaglianze, la crisi del neoliberismo, il bipolarismo, tutto cospira verso un ritorno al primato della politica sull’economia costringendo entrambi i poli ad assumere contorni più definiti, ad abbandonare il consociativismo e adottare metodi più radicali. Dunque, destra e sinistra riacquistano senso. E, per esplorare il significato di questo ritorno, sei prestigiosi intellettuali di destra si sono confrontati con sette prestigiosi intellettuali di sinistra esponendo il proprio punto di vista su questa dicotomia e sui concetti più cari alla destra (Dio, Patria, Famiglia) e alla sinistra (Libertà, Uguaglianza, Felicità).



Foto dell’anno pubblicata da Open Arms

Sette piccoli capolavori da non mancare Sette luoghi da non perdere Sette personaggi dimenticati Sette date da tenere in memoria Sette perdite dolorose che hanno amputato la capitale d’Italia. «Roma, non basta una vita», come si sa, ma proprio per questo offre ancora l’ebbrezza di scovare curiosità sconosciute. Per uscire dagli itinerari consueti e provare il gusto della scoperta, il piacere dell’insolito o dell’ignoto, l’autore ci svela tanti piccoli e reconditi angoli della città: percorsi inediti per passeggiate curiose che ci possiamo regalare in qualche giornata romana. Dall’ultima e mirabile fontana di Gian Lorenzo Bernini, ignorata da tutti, al chiusino stradale sull’Aventino, dove ci si può calare nell’abitazione privata dell’imperatore Traiano, ancora totalmente affrescata; da una chiesa di Borromini, rimasta incompiuta, che custodisce una copia della Sindone e ora è un albergo di lusso ai piedi del Gianicolo, al Grand hotel di via Veneto dove nella sala da ballo fanno capolino, dipinti in grandezza naturale, 78 personaggi del bel mondo degli anni Venti.


In politica le istituzioni assumono spesso l’impronta di chi le rappresenta. Questo è tanto più vero per la Presidenza della Repubblica così come è regolata nella Costituzione italiana. Il ruolo che i costituenti assegnarono al capo dello Stato nel nuovo sistema politico non è privo nella sua indeterminatezza di qualche ambiguità, ma proprio grazie a essa chi è stato investito dell’alta carica ha potuto esercitarla secondo la sua interpretazione della necessità degli interessi talvolta mutevoli del paese. In questo volume, un’analisi approfondita delle personalità di coloro che sono stati chiamati di volta in volta a occupare la massima carica dello Stato e della loro attività nell’arco dei rispettivi mandati, ma anche un’indagine e una riflessione sulle forze e sulle istituzioni che sono state o sono al centro delle vicende politiche del paese, giudicate dall’angolo visuale del Quirinale. Attraverso documenti d’archivio spesso inediti, memoriali e testimonianze dei protagonisti si ripercorrono tutte le tappe salienti delle varie presidenze: dalle “prediche inutili” di Einaudi agli anni di Gronchi e della crisi Tambroni; dal “mandato breve” di Segni e dai retroscena del “piano Solo” alle clamorose dimissioni di Leone; dalle esternazioni irrituali di Pertini ai misteri del settennato di Cossiga; dalle aspre polemiche degli anni di Scalfaro fino al delicato e complesso settennato di Napolitano.


“La giacca, la camicia, la salita in paese dopo la campagna… La dignità di un uomo d’altri tempi” Civita (CS)  Foto Francesco Mangialavori


Gli oggetti hanno un’anima e una storia che passa attraverso le mani degli artigiani che li hanno forgiati e di coloro che li hanno usati. Ecco il senso dell’archeologia: far parlare il tempo attraverso le cose, per ricostruire l’impossibile fotografia del passato.

Frammenti di vita quotidiana, tracce di rituali religiosi, di attività economiche e di relazioni tra persone e con l’ambiente: gli oggetti portano il segno di quanto avvenuto nel tempo in cui furono creati e delle loro funzioni all’interno della comunità. Come schegge di uno specchio ci restituiscono l’immagine di quello che siamo stati e ci aiutano a dar forma al passato. Per riannodare i fili di questi mondi lontani e poco riconoscibili è necessario un lavoro lungo anni. Oltre quaranta sono quelli che Marcella Frangipane ha trascorso sul sito di Arslantepe in Anatolia, dove sorge il palazzo pubblico più antico del mondo: un viaggio nel tempo – che risale al V millennio a.C. e oltre – e nello spazio – esteso a tutto il territorio della Mezzaluna fertile – alla scoperta delle prime civiltà umane e di quei fenomeni politici e sociali che ancora regolano le nostre vite. Dieci lezioni dall’archeologia dei tempi più antichi per capire come siamo arrivati fin qui e come potrebbe essere il nostro domani.


 

Circo Massimo foto pubblicata in Rock

 

Ci aveva visto giusto Andy Warhol, quando aveva detto questa frase. Come se stesse pronunciando una profezia, l’artista aveva già anticipato il tratto fondamentale della nostra quotidianità. La fama non è più difficile da raggiungere, e si trionfa sui social con una semplicità sbalorditiva. Basta poco per essere condivisi su internet, basta partecipare ad un talent mediocre per arrivare nelle case di tutti noi, e per avere, anche se per poco, della notorietà. Non troppa, perché la fama è impegnativa, ma quanto basta per dire “io ci sono, esisto, e non sono come gli altri” mentre in realtà l’unica differenza con gli altri, forse, è che “gli altri” hanno quel poco di buonsenso necessario a non condividere le proprie (in)capacità con il resto del mondo. Siamo una società che si annoia in fretta, che pretende la novità al ritmo di un click, che agogna il nuovo costantemente e che cerca sempre l’ennesimo oggetto da idolatrare, feticcio da santificare e sul quale scaricare la propria tensione e che ci permette di distrarci dalla monotonia delle nostre giornate. Ennio Flaiano, aveva già previsto nel 1954, la degenerazione della società dello spettacolo.


 

Se questo è un marciapiede foto pubblicata da Roma Today

Sogno notturno a Roma racconta i traumi subiti dalla città, proclamata capitale del Regno d’Italia nel 1871, attraverso una ricognizione notturna dei luoghi più devastati dalle demolizioni e dalle ristrutturazioni attuate a partire da quell’anno fatale. Cinque personaggi, non tutti umani, compiono insieme un cammino nel cuore di Roma, al di fuori del tempo reale, lungo un percorso che parte da piazza Venezia e ritorna, dopo un ampio giro, a via dei Fori Imperiali. Attraverso dialoghi e digressioni storiche si esplorano così i vuoti urbani creati nella convinzione di “risanare” Roma e farne una città moderna. Si racconta come, nonostante le più autorevoli proteste, sia stata demolita un’enorme area intorno al Campidoglio di incomparabile pregio storico e artistico, comprendente gran parte dei più antichi rioni, quali Campitelli, Pigna, Trevi, Monti, con tutte le loro reciproche connessioni. Una grave ferita alla comunità storica che ha fatto di Roma una città unica al mondo.

Proposto da Paolo Portoghesi al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:
«Il libro di Annarosa Mattei, Sogno notturno a Roma 1871-2021, pubblicato da La Lepre Edizioni, ha insieme il carattere del saggio e del romanzo e – a mio parere – merita pienamente la segnalazione in quanto unisce al valore letterario quello storico critico illustrando con scrupolo filologico le trasformazioni che la città ha subito dopo l’avvento di Roma capitale. Il modo in cui gli avvenimenti sono raccontati coinvolge personaggi simbolici e immaginari come un gatto e un gabbiano e fa entrare il lettore in una parte della città, ricca di monumenti significativi, barbaramente distrutta per far posto al Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, poi battezzato Altare della Patria. Proprio lì – ai piedi del futuro monumento – c’era la zona della città scelta da molti artisti per risiedervi, a cominciare da Michelangelo, che aveva la sua casa a Macel de’ Corvi, fino a Pietro da Cortona, che aveva costruito un palazzetto che univa il carattere popolare a una graziosa intonazione aulica. Annarosa Mattei, autrice di numerosi romanzi, raggiunge in questo libro la doppia qualità di fantasiosa narratrice e di acuta storica e critica, descrivendo i sapori della città quotidiana cancellati dalle ambizioni monumentali e indicando nelle frettolose trasformazioni promosse dal nuovo Stato le premesse per quella crescita caotica che contraddistinguerà la città alla fine del Novecento.»


Appia antica foto pubblicata da Simone Quilici

Il volume storico “Vedere Oltre”, attraverso importanti e spesso inedite testimonianze documentali, ripercorre gli ultimi 150 anni dell’istituto per i ciechi S. Alessio all’interno della storia del nostro Paese, tratteggiando con significativa evidenza l’evoluzione dell’approccio al tema della disabilità sensoriale nelle varie fasi storiche. La ricerca, frutto di un lungo lavoro portato a termine dallo storico prof. Luigi Scoppola Iacopini, contribuisce a conservare la memoria di persone, fatti ed interventi volti a sostenere chi al S. Alessio ha potuto coltivare le proprie abilità, ricevere assistenza e formazione professionale, grazie ad iniziative messe in campo per l’integrazione dei disabili sensoriali. Da qui si apre una nuova stagione, quella del “vedere oltre” della quale il S. Alessio è protagonista grazie al contributo che offre in termini di innovazione culturale, affinché l’approccio alla disabilità sensoriale possa essere sempre più partecipativo ed inclusivo. L’appendice fotografica – con immagini d’epoca e documenti di archivio – chiude il volume.


 

Via Panisperna, foto di Fausto Corini

A distanza di pochissimi mesi dal clamoroso epilogo del suo mandato, Ignazio Marino ha scritto la sua verità. Un racconto, duro e senza censure, che rivela le resistenze che ha trovato e svela quelle che alla fine lo hanno eliminato; l’analisi, punto per punto, di una stagione del governo di Roma che voleva marcare un cambiamento assoluto; il ricordo, commosso e grato, di tutti coloro (cittadini e assessori) che hanno partecipato insieme a lui a questa avventura e lo hanno sostenuto fino in fondo. La sua visione di una città che può uscire dalla palude e presentarsi al mondo come grande capitale europea proiettata nel futuro. Il sogno spezzato della sua amministrazione, da quando strappò la guida di Roma a Gianni Alemanno, fino alle firme da un notaio dei consiglieri del Pd con alcuni della destra, che insieme ne determinarono la caduta. Una vicenda che ha tenuto banco per mesi su tutti i media nazionali e internazionali, in un crescendo di attenzione che ha reso il sindaco Marino una delle figure pubbliche più riconoscibili e dibattute. Eppure, non è mai stato semplice incasellarlo in una definizione: un sindaco fuori posto, non capito da tutti i romani e accoltellato dal suo stesso partito? O un sindaco onesto, assediato dal sistema di potere di Mafia Capitale, sostenuto dai cittadini e tradito clamorosamente da chi lo doveva difendere? Un sognatore ingenuo, un puro e duro, un tecnico, un politico, un marziano a Roma? In un racconto serrato, pieno di dettagli sulla vita e l’amministrazione della capitale, Marino disegna un ritratto esplosivo, ma niente affatto scandalistico, della politica romana e non solo. Forse per la prima volta un sindaco racconta in dettaglio la complessità e l’urgenza delle decisioni quotidiane, la pressione delle influenze dietro le quinte, le difficoltà di far comprendere e accettare il cambiamento, i rapporti di forza, i meccanismi non meritocratici, che ha cercato di cambiare, alla base di tante nomine. Senza paura di fare nomi e cognomi. “Sono sempre stato un testardo. E i testardi possono vincere o perdere ma non riescono a galleggiare: emergono o affondano.”

p.s.

Certamente l’esito finale di questa esperienza è deprecabile, certamente Marino ha cercato di prendere le distanze da prassi altrettanto deprecabili di chi lo aveva immediatamente preceduto, ma a lui può essere addebitato di aver aperto le porte al populismo dei successivi pentastellati e di non aver valorizzato le esperienze positive dei due grandi sindaci Rutelli e Veltroni che avevano governato Roma prima di lui.

c.m.

Il populismo è stato vieppiù originato da chi ha causato l’irrituale epilogo.

a.b.

 



“Vista del foro” pubblicato da Nostalgia di Roma mia

La rivoluzione digitale e gli sconvolgimenti pandemici hanno cambiato l’idea stessa del viaggio. Dentro la crisi, Roma e l’Italia possono immaginarsi meta del Grand Tour del futuro. Un laboratorio permanente dell’innovazione, alimentato dalla memoria del passato. Il luogo in cui la classe creativa globale impara l’arte della mescolanza. Un itinerario tra scuole e università, botteghe e imprese, musei, istituti delle conoscenze storiche, ambasciate dei saperi diffusi. Per fare del turismo un’esperienza trasformativa.


La fontana a tre cannelle, foto di Emilia De Santis in Foto Romane

Siamo nel pieno di quella che papa Francesco ha definito una catastrofe educativa: molti adulti si sentono sperduti, impreparati, quasi impotenti di fronte alle nuove generazioni e i giovani si trovano senza punti di riferimento sicuri. In un mondo che cambia con rapidità, è più che mai necessario ripensare il difficile compito di educare. Ripercorrendo quanto scritto negli ultimi trent’anni, mescolando ricordi personali e pubbliche riflessioni, Paolo Crepet offre il frutto della sua lunga esperienza, delineando quello che in molti hanno definito «il metodo Crepet». Un lungo viaggio, che pone al centro il bisogno di ripensare la genitorialità, la scuola, il rapporto tra le generazioni, il futuro. Non possiamo ignorare che la necessità di un profondo cambiamento si scontri con resistenze, timori, egoismi difficili da vincere, freni che privano bambini e ragazzi del diritto di far nascere i propri sogni e di coltivarli, affidandosi alla capacità di sentire le proprie emozioni e di lasciarsi coinvolgere dalla passione per un progetto di vita. Serve dunque la forza di una voce critica, anche scomoda, che scuota da questo torpore educativo e aiuti a invertire la rotta. Le pagine di Lezioni di sogni vogliono essere dunque spunti, provocazioni, richiami, un’occasione per riflettere sul futuro delle giovani generazioni. Che cos’è il talento e come supportarlo? Come gestire il rapporto con la tecnologia e i social media? Come educare alla gentilezza, al rispetto, alla complessità? Sono solo alcuni degli interrogativi a cui nessuno può sottrarsi, perché «i bambini ci guardano e imparano da noi bellezze e viltà». Paolo Crepet scrive perciò questo libro «come un portolano utile, per naviganti impauriti da vecchie e nuove tempeste, per chi voglia riafferrare il bandolo di una matassa troppo strategica perché sia lasciata all’ignavia degli indifferenti».


Giovani, Foto pubblicata da The Roman Post

“Pierre Froment, giovane abate vissuto nei quartieri più degradati di Parigi, scrive un libro ispirato a ideali di giustizia sociale e carità cristiana, “Roma novella”, subito messo all’Indice dalla Chiesa. Giunto a Roma per difendere la propria opera e ottenere udienza da papa Leone XIII, si renderà conto che il suo lavoro non potrà mai ottenere l’approvazione di quel Cattolicesimo attento a difendere il proprio potere temporale. Alle vicende dell’abate Froment, ospite nel Palazzo Boccanera in via Giulia, si intreccia la tragica storia d’amore dei cugini Dario e Benedetta, alla ricerca di un’impossibile felicità. L’incredibile, dimenticato capolavoro del maestro del naturalismo.” (Prefazione di Emanuele Trevi)


L’asino che vola  dal  Blog Pazza di Roma

Tra i luoghi che scopriremo con Andrea Carandini: Le case del re dei sacrifici e di Tarquinio Prisco; Grandissime corti porticate; Banchine sul Tevere; Il maggiore tempio di Roma e dell’Impero; Saloni da pranzo della domus Aurea; Il Pantheon di Augusto ricostruito da Adriano; Giardini in forma di teatro e d’ippodromo; Suites di sale; Due tempia del divo Augusto, a due angoli del Palatino; Dove dormivano le vestali; Il luogo della Velia; La tomba di un fornaio; Dove la plebe riceveva il grano; La nave di Enea e il suo ricovero.


Geometrie inattese a Sant’Agnese in Agone, foto di Antonio Bottoni

La giovinezza è un’età piena di incertezze, ma anche di speranze e desideri di protagonismo. Questo è ancor più vero oggi, in un’epoca attraversata da profonde trasformazioni. In un sistema costellato di nuovi rischi e nuove opportunità, caratterizzato da eventi imprevisti – la pandemia, il conflitto Russia-Ucraina –, i giovani stanno costruendo il proprio percorso di vita. L’edizione 2023 del Rapporto dell’Istituto Toniolo indaga come essi vivano e interpretino i cambiamenti in atto e quali ricadute questi abbiano non solo sulle condizioni oggettive ma anche su preferenze, obiettivi e significati del loro essere e agire nella società e nel mondo del lavoro. Il volume affronta il modo di apprendere e la formazione di nuove competenze; l’idea di lavoro e di realizzazione professionale; l’idea di famiglia e la propensione ad avere figli; l’impegno sociale e l’organizzazione dal basso dei movimenti di cambiamento, in particolare sul tema dell’ambiente; la fiducia verso le istituzioni e le aspettative sul nuovo governo. I dati rilevano le specificità interne del contesto italiano, in un continuo confronto con le realtà di altri paesi europei.



Blitz di ultima generazione, la protesta davanti al Senato foto pubblicata da Fanpage

Come molti altri artisti dell’Europa del Nord, Hans Christian Andersen compì il suo grande viaggio di formazione nelle città d’arte italiane non appena questo gli fu economicamente possibile, e ciò avvenne nel 1833. Il suo primo vero viaggio fuori dalle frontiere danesi – a eccezione di una breve esperienza in Germania compiuta un paio d’anni prima – lo portò tra l’altro a Roma, dove soggiornò alcuni mesi. Ma contrariamente a quanto avveniva per i suoi contemporanei, che delle esperienze all’estero – per esempio in Italia e a Roma – si nutrivano per tutta la vita, per Andersen questo soggiorno fu solo il primo di una lunga serie, perché di ogni viaggio lui riusciva a nutrirsi solo fino a quello successivo, che cominciava a sognare o talvolta a progettare non appena tornato a casa. Nel corso dei suoi numerosi viaggi lo scrittore è stato ben sette volte all’interno dei confini di quella che attualmente è la repubblica italiana e per quattro volte soggiornò a Roma, una delle città che gli furono più care. Il libro contiene 40 illustrazioni originali dell’Autore.


Sant’Agnese in Agone, foto di Sarapatrizia Tortoriello

 

Da uno degli architetti italiani contemporanei più noti e studiati, purtroppo scomparso in questi giorni ( giugno 2023), il racconto di Roma in un affascinante viaggio tra storia e memoria, critica e autocritica, elaborazione progettuale e studio, vicende private e professionali.

La Roma descritta da Paolo Portoghesi in questo volume ha varie stratificazioni. La più profonda, quella più intima e personale, va dal dopoguerra a oggi, dalla casa dei nonni dietro Largo Argentina agli incontri con le personalità che hanno plasmato l’immagine della capitale nel secolo scorso, come Bruno Zevi, Giulio Carlo Argan, Renato Nico-lini e Ludovico Quaroni. C’è poi il racconto della Roma immaginata e solo progettata (il quartiere della Valchetta, Casal di Gregna), accostata senza soluzione di continuità alle opere portate a termine come la Grande Moschea, il più esteso luogo di culto islamico in Europa, a pochi passi dal cuore della cristianità. Infine, in superficie, la conoscenza dello storico dell’architettura e l’immaginazione del progettista si uniscono per immaginare la Roma del futuro, nella consapevolezza della sua inesauribile capa-cità di rinascere dalle proprie rovine. Attraverso un racconto che è soprattutto un atto d’amore, Portoghesi riesce nell’impresa di gettare nuova luce su una delle città più studiate e raccontate della storia, e pone le basi per «la motivata percezione di un possibile risveglio» di Roma, scaturita dalla «stabile e prolungata posizione di ascolto, dal fatto di aver passato una parte della vita a rivolgere domande alla città, studiandone la forma e la storia, e di aver conquistato un piccolo spazio in cui arrivano continuamente messaggi provenienti da quell’insieme di esistenze, di segni, di edifici, di strade, di piazze, di paesaggi, che formano una misteriosa unità.


Casa Baldi foto pubblicata da Archidiap

 

La costruzione dei lotti dell’Istituto Case Popolari, la vita quotidiana, le botteghe, i vicini di Tor Marancia, gli artisti, il tempo di guerra con i suoi eroi e le vittime, il mondo del lavoro, le scuole, il cinema. Sono alcuni dei temi raccontati, attraverso preziose foto in bianco e nero, nel libro “Come eravamo. Garbatella 1835-1960”, edito da Typimedia. Il volume è un grande racconto corale di una zona che nasce povera, ma che nei decenni si trasforma in un centro di vita pulsante, sanguigna, popolare, antifascista. Un luogo dove un tempo ci si vergognava a vivere e che oggi è tra i più amati dai romani. Se il 18 febbraio 1920 è il giorno in cui viene posta la prima pietra di un edificio in piazza Benedetto Brin, già nel 1835 si faceva il nome di via Garbatella e di un’omonima osteria. Lo dimostra un antico documento conservato nell’archivio della Basilica di San Paolo fuori le Mura, pubblicato ora in questo libro. Così il fotografo e giornalista Antonio Tiso torna sulla collana “Come eravamo”, ideata da Typimedia, che racconta la memoria dei quartieri di Roma. A scandire questa emozionante narrazione sono sempre le immagini provenienti dai cassetti delle famiglie.


Lampi futuristi al giro d’Italia foto di Alessandro Chiacchiarelli

Libro finalista del Premio Estense 2023
Una storia, alternativa e potente, del lato oscuro del Paese. Perché tante stragi e delitti in Italia rimangono impuniti? La ricerca della verità è un percorso a ostacoli e in troppi casi, prima ancora di cercare i colpevoli, si è messa in dubbio la credibilità di chi accusava. È accaduto a Giovanni Falcone quando si disse che la bomba dell’Addaura l’aveva piazzata lui stesso e a Paolo Borsellino la cui agenda rossa, misteriosamente scomparsa, sarebbe stata un «parasole». Don Diana? «Era un camorrista.» Peppino Impastato? «Un terrorista.» La lista dei nomi infangati per distrarre l’attenzione dai delitti è lunga. E la strategia ha un preciso nome in gergo, «mascariamento». Per comprenderne i drammatici effetti, Paolo Borrometi ci accompagna in un viaggio nella storia d’Italia in cui denuncia i traditori, i criminali che mirano a creare confusione nel Paese per raggiungere i propri interessi illegittimi. A discapito della verità. Un reportage giornalistico tra anomalie, depistaggi e buchi neri che parte dallo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 per arrivare ai giorni nostri, passando per le bombe degli anni Settanta e la strategia della tensione: da Portella della Ginestra a via Fani, dall’Italicus al Rapido 904, da Bologna a Capaci e Via d’Amelio, fino all’arresto del latitante Matteo Messina Denaro. Una storia, alternativa e potente, del lato oscuro del Paese.


Catena umana foto di Armando Mangone

“Il ratto della Snia” Foto di Armando Mangone

 

Donna di grande fascino e carattere, occhi color ghiaccio e capelli pettinati alla Greta Garbo, amante del bello in tutte le sue forme, dalle sublimi espressioni dell’arte, al design, all’alta sartoria, Palma Bucarelli ha attraversato il Novecento lasciando un’impronta indelebile nel panorama artistico italiano. Nominata nel 1933, a soli ventitré anni, ispettrice della Galleria Borghese, dimostra fin dal principio il suo spirito determinato: quando Mussolini convoca tutti i soprintendenti d’Italia, lei non si presenta, e difenderà questa posizione indipendente per tutti gli anni del regime. Il coraggio, certo, non le manca: ai primi bombardamenti alleati sulla capitale, si impegna a portare in salvo il patrimonio della Galleria nazionale d’arte moderna, di cui è diventata funzionario con mansioni direttive, prima a Caprarola e poi a Castel Sant’Angelo. Il secondo no a Mussolini lo dice quando la RSI chiama i suoi a raccolta: resta senza stipendio, collabora con la Resistenza distribuendo in bicicletta il foglio clandestino “L’azione”, e continua a proteggere la “sua” Galleria. Finita la guerra, Palma si deve confrontare con una società conservatrice e culturalmente arretrata. Per tutta la sua lunga vita, potrà contare sull’appoggio dei suoi amici e corteggiatori. Pioniera nell’arte e nella vita, donna libera in un mondo che alle donne lasciava poco spazio, Palma Bucarelli ha contribuito a imporre nel nostro paese l’idea moderna di museo.


Piazza Mincio Foto di Paolo Bonsangue

Misone, annoverato da Platone fra i sette saggi, insegnava: «Indaga le parole a partire dalle cose, non le cose a partire dalle parole». Cento anni fa entrò nel linguaggio politico italiano l’aggettivo ‘totalitario’, seguito due anni dopo dal sostantivo ‘totalitarismo’. La cosa che aveva dato origine alle due parole era il fascismo, subito dopo la sua ascesa al potere. Non furono i fascisti a coniare i due neologismi. Furono gli antifascisti. Quando il fascismo impose il partito unico, furono gli esuli antifascisti italiani a diffondere in Europa la parola ‘totalitarismo’ per definire quel nuovo regime. La stessa parola fu usata per definire il regime bolscevico. E poi anche il regime nazista. Emilio Gentile indaga la storia della parola ‘totalitarismo’ partendo dalla cosa ‘fascismo’. Dalla sua indagine, risulta che l’ignoranza della connessione fra la parola e la cosa ha generato il ‘cancellazionismo’, cioè una forma minore di negazionismo, compendiato in due sentenze: «Il fascismo non fu totalitario»; «il totalitarismo non è mai esistito». Contro il cancellazionismo, il rimedio, ispirato da Misone, è indagare la parola a partire dalla cosa, cioè dalla storia.


Alexandria Ocasio-Cortez al Met Gala 2021 con il famoso abito “Tax the rich” foto di Jamie McCarthy

 

Con la miscela di tensione e ironia che caratterizza la sua scrittura, Morlupi torna a raccontare le contraddizioni di Roma e le oscurità psicologiche in cui l’animo umano rischia costantemente di precipitare.  Il grande parco di Villa Pamphilj, a due passi dal Vaticano, ha due volti molto diversi: di giorno è un giardino che accoglie bambini, anziani e sportivi; di notte si trasforma in rifugio per senzatetto, drogati e prostitute. All’alba di una gelida mattina di gennaio, una di loro viene trovata senza vita, brutalmente uccisa con un’arma da taglio. La vittima aveva poco più di vent’anni, viveva da sola, si vendeva per pagarsi l’università e sperare in un futuro diverso. L’omicidio sconvolge il commissario Ansaldi e i suoi agenti, perché apre uno squarcio inatteso di disperazione nella tranquilla routine del loro quartiere. In più, arriva proprio nel momento peggiore, a due settimane da un delicato vertice politico tra i principali capi di Stato europei, con gli occhi del mondo puntati sulla capitale. Per scongiurare clamori, le autorità cittadine vogliono che l’indagine si concluda rapidamente e in silenzio: per i Cinque di Monteverde è appena iniziata una terribile corsa contro il tempo. Con la miscela di tensione e ironia che caratterizza la sua scrittura, Morlupi torna a raccontare le contraddizioni di Roma e le oscurità psicologiche in cui l’animo umano rischia costantemente di precipitare.


 

L’era del lavoro libero: Senza vincoli né barriere. Siamo pronti a questa rivoluzione? C’è una straordinaria rivoluzione in corso nel mondo del lavoro, di cui pochi finora hanno colto la reale portata. L’affermazione dello smart working e dei nuovi modelli di lavoro ibrido, l’incredibile ondata della great.

L’editore Rubbettino ha da poco pubblicato l’interessante saggio di Francesco Delzio, ‘L’era del lavoro libero’, che racconta la straordinaria rivoluzione in corso nel mondo del lavoro. Partendo da smart working e nuovi modelli di lavoro ibrido, ma ragionando anche, tra l’altro, sui nuovi equilibri tra occupazione e vita privata invocati e ricercati da varie generazioni, Delzio riflette sulle varie facce che il lavoro sta assumendo nella nostra epoca.  Di seguito una sintesi dell’autore.

“L’era del Lavoro Libero non è nato per caso. E non è nato ieri. Perché è frutto di idee, riflessioni e suggestioni germinate nei miei 33 anni di lavoro, da quando a 15 anni iniziai a scrivere a Barletta nella redazione di un quotidiano locale. E perché in fondo rappresenta la naturale evoluzione di Generazione Tuareg: in quel fortunato saggio (il mio primo) del 2006 analizzavo la particolare condizione dei millennials italiani, la prima generazione chiamata ad affrontare l’introduzione della flessibilità nel mondo del lavoro.
Ma il mondo del lavoro oggi è di fronte ad una nuova “curva della storia”: una rivoluzione che investe il nostro modo di lavorare, il rapporto tra occupazione e vita, la gestione del fattore umano da parte delle aziende. Da quasi 30 anni – con l’introduzione della flessibilità in entrata, a metà degli anni Novanta – non si registravano infatti cambiamenti così rapidi e pervasivi nel mondo del lavoro italiano come quelli cui stiamo assistendo oggi, che vanno molto al di là delle innovazioni organizzative indotte dalla pandemia.
L’affermazione dello smart working e il suo consolidamento nei modelli di lavoro ibrido, l’incredibile (e imprevedibile) ondata della great resignation, la diffusione del job hopping, i nuovi equilibri tra occupazione e vita privata cercati dalla Generazione Zeta, le nuove strategie di engagement e valorizzazione dei dipendenti perseguite dalle aziende segnano
nel complesso una svolta epocale che manda definitivamente in soffitta il modello fordista.
Sullo sfondo, infine, la possibilità di realizzare finalmente in Italia un’economia della Partecipazione, che offra ai lavoratori la possibilità di un coinvolgimento rispetto ai destini della propria azienda.

Se analizziamo in profondità fenomeni così diversi, scopriamo che hanno tra loro un fondamentale punto in comune. E’ la caduta dei vincoli di tempo, spazio e organizzazione che hanno caratterizzato il mondo del lavoro, almeno a partire dalla Rivoluzione industriale. O detto in altri termini, è la “liberazione” del lavoro da gran parte delle barriere e delle rigidità che lo hanno caratterizzato finora. Si tratta di un trend che diventerà sempre più visibile nei prossimi anni.

La tesi che sostengo nel libro, e che supporto con analisi, numeri e trend, è che stiamo entrando dunque in una nuova fase storica: l’Era del Lavoro Libero. Un nuovo paradigma, in cui viene meno un luogo di lavoro fisico esclusivo e si affermano modelli di lavoro ibridi fatti di connessioni. Non esiste più il lavoro della vita ma una serie di lavori, svolti anche in contemporanea, in una dinamica fluida e flessibile come le nostre vite. Non c’è più una contrapposizione netta tra lavoro, cura della famiglia e gestione del tempo libero, perché il lavoro è sempre meno il “sovrano assoluto” delle nostre vite. E infine è sempre meno attuale l’antica guerra tra profitto e salario, perché imprenditori, manager e lavoratori sono sempre più protagonisti di un progetto comune e perché i lavoratori sono chiamati ad essere sempre più imprenditori di sé stessi e del proprio tempo.
Peccato che pochissimi, ancor oggi, abbiano colto la reale portata e l’impatto sulle nostre vite di questa rivoluzione. Peccato che la politica non si (pre)occupi di tutto questo, a causa del divorzio clamoroso e inspiegabile avvenuto negli ultimi decenni tra i partiti italiani – lungo l’intero arco parlamentare – e il lavoro: non soltanto i partiti italiani hanno “dimenticato” il lavoro, non mettendolo mai al centro del loro impegno politico e delle loro strategie di consensus building, ma sembrano non conoscerlo più.
Su tutto questo rifletto ne L’era del Lavoro Libero: con analisi innovative che partono dagli Stati Uniti, idee e proposte concrete che guardano all’Italia. Sapendo che possiamo ignorare e subire tutto ciò che sta accadendo e che sta per accadere nel mondo del lavoro, o conoscerlo per provare a gestirlo. Chi sceglie la seconda strada, troverà in questo saggio un “alleato” prezioso e innovativo”.


Molto è stato scritto sulla Resistenza e sulla guerra di liberazione in Italia. Ma che cosa accadde ai partigiani dopo l’aprile 1945? Come vissero realmente gli anni del dopoguerra e della rinascita del Paese coloro che la Repubblica avrebbe celebrato come i nuovi eroi della patria, martiri del secondo Risorgimento nazionale? Dal 1948 e fino ai primi anni Sessanta, nelle aule di giustizia della nuova Italia democratica va in scena un «Processo alla Resistenza», destinato ad avere un forte impatto mediatico. Assassini, terroristi, «colpevoli sfuggiti all’arresto». Cosí la magistratura del dopoguerra, largamente compromessa col regime fascista, giudica quei partigiani che hanno combattuto una guerra clandestina per bande, tra il 1943 e il 1945. Giudizio condiviso dalla stampa e da gran parte dell’opinione pubblica italiana, che si accompagna a una generale riabilitazione di ex fascisti e collaborazionisti della Rsi, autori di stragi e crimini contro i civili, costretti a «obbedire a ordini superiori». Attraverso carte processuali e documenti d’archivio inediti, Michela Ponzani ricostruisce il clima di un’epoca, osservando i sogni, le speranze tradite e i fallimenti di una generazione che pagò un prezzo molto alto per la scelta di resistere. Cosa resta della Resistenza nella Repubblica? Rimosso dalla memoria collettiva, il «Processo alla Resistenza», celebrato nelle aule di giustizia dopo il 1945, anima per decenni il dibattito mediatico, plasmando distorsioni, manipolazioni, miti e luoghi comuni «antiresistenziali», in una serie di polemiche a posteriori. La messa sotto accusa dell’antifascismo finisce col ribaltare ragioni e torti, meriti e bassezze, valori e disvalori. Coloro che hanno combattuto contro nazisti e fascisti si trasformano in pericolosi fuorilegge, colpevoli di aver attentato al bene della patria (esposta all’invasione angloamericana e ai tragici effetti delle rappresaglie, scatenate dall’occupante tedesco) e di aver messo a repentaglio la sicurezza nazionale, difesa invece fino alla fine dai combattenti di Salò. Assassini, vigliacchi, terroristi, «colpevoli sfuggiti all’arresto». Sulla base di questi termini (utilizzati dalla stampa degli anni Cinquanta) la magistratura del dopoguerra, quasi sempre compromessa col regime fascista, giudica quei partigiani che hanno combattuto una guerra per bande. Mentre ex fascisti e repubblichini, autori di stragi e crimini contro civili, vengono assolti, riabilitati e persino graziati per aver «obbedito ad ordini militari superiori» o per la loro natura «di buoni padri di famiglia», i partigiani sono giudicati responsabili delle rappresaglie scatenate dai nazifascisti, per non essersi consegnati al nemico.


Il fiore foto di Enzo Scuderi

“La rivoluzione romana” affronta uno dei nodi cruciali della storia di Roma: la caduta della repubblica e il declino della libertà politica sino alla vittoria definitiva di Augusto e alla fondazione del regime. Opponendosi alla visione tradizionale, incentrata sulle vicende dei grandi protagonisti, Syme propone una lettura allargata del processo politico, mettendo l’accento anche sui personaggi “minori” usciti dalla catastrofe repubblicana e destinati a costituire la nuova classe dirigente della Roma del principato. Lo sguardo dello storico sorvola così sulle biografie di Pompeo, Cesare, Marco Antonio, e dello stesso Ottaviano, il figlio adottivo di Cesare che dopo la presa del potere assumerà il nome di Augusto. Perdono peso anche gli avvenimenti bellici, gli affari interni e i rapporti fra Roma e le province; prendono invece rilievo le nobili casate romane e i principali alleati dei diversi capi politici. La struttura dell’oligarchia governativa assurge quindi a tema dominante della storia politica, venendo a costruire l’anello di congiunzione tra repubblica e impero. Le trasformazioni dello stato e della società, il trasferimento violento del potere e delle proprietà, la creazione del dominio di Augusto rivivono sotto gli occhi del lettore… Introduzione di Arnaldo Momigliano.


La Vela di Calatrava su il Mormillo.it

“Il lavoro che c’è e il reddito di cittadinanza” è il titolo del libro di Patrizia Baratto e Roberto Giuliano con la prefazione di Maurizio Sacconi e l’introduzione di Giuliano Cazzola pubblicato recentemente da PS. Edizioni di Roma4print.

Un libro di grande importanza e di grande attualità, altrimenti non si spiegherebbe la presenza di due autorevoli esperti di problematiche sociali e del mondo del lavoro come Giuliano Cazzola e Maurizio Sacconi che sostengono con molta eleganza e cognizione di causa le argomentazioni riportate nell’architettura del libro scritto a quattro mani da Patrizia Baratto e Roberto Giuliano.

I due autori, ex sindacalisti della Uil e della Cgil, espongono le loro argomentazioni con dati statistici ben documentati, ma non mancano nemmeno le citazioni di autorevoli giuslavoristi.

In Particolare, Patrizia Baratto si sofferma ad analizzare gli aspetti umani del mondo del lavoro e la lungimiranza di un grande sindacalista come Giorgio Benvenuto.

Le analisi svolte con una grande capacità di sintesi, fanno un quadro completo del mondo del lavoro e del welfare spiegando anche le comparazioni con altri Paesi dell’Unione europea. Un libro avvincente sia per la chiarezza espositiva ma anche per le sequenzialità temporali che si sono avvicendate da inizio degli anni ottanta fino alle preoccupazioni dei nostri giorni caratterizzati dalla presenza della pandemia e dalla guerra in Ucraina.

Una grande attenzione è posta anche sulla formazione del lavoro, tenuto conto della rivoluzione del digitale e della robotica. Un argomento, che ci porta a pensare alla necessità di una formazione non solo nei luoghi di lavoro, ma anche alla necessità di una nuova grande riforma scolastica riesaminando la struttura dell’insegnamento nelle scuole medie inferiori e superiori, anche con l’inserimento di nuove materie e aggiornamento dei programmi scolastici improntati ad un costante dinamica guardando, con una maggiore diversificazione, alle vocazioni produttive del territorio ed alle innovazioni tecnologiche e scientifiche.

In conclusione emerge l’inadeguatezza del cosiddetto ‘Reddito di cittadinanza’ che diventa pleonastico a quel welfare sociale già esistente nel nostro Paese con punte avanzate rispetto al resto dell’Unione europea. Uno strumento iniquo che sottrae forza lavoro al mercato del lavoro e che produce ingiustizia sociale. Il punto focale è la divisione della forza lavoro tra chi lavora e produce reddito e chi viene mantenuto e mortificato da un Reddito di cittadinanza che alimenta forme di saprofitismo ingiustificabili. Uno strumento, quello del Reddito di cittadinanza, che stride con i principi etico sociali garantiti dalla nostra Costituzione, ma anche con le opportunità offerte dai fondi del Pnrr.

Infatti, il diritto al lavoro è un principio di uguaglianza garantito dalla Costituzione che impone allo Stato il dovere di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione della dignità dei lavoratori. Un libro sicuramente da leggere per fare luce su aspetti che spesso non vengono ricordati dalla stampa e nemmeno dagli innumerevoli dibattiti televisivi. Invece, i fondi del Pnrr sono finalizzati a migliorare e rendere più efficiente ed efficace la struttura e la sovrastruttura produttiva, senza sprecarli con la logica dell’helicopter money.

 


 

Qual è il significato delle Fosse Ardeatine? Quale memoria ha lasciato la strage nazista compiuta a Roma il 24 marzo 1944, come rappresaglia dell’attentato partigiano di via Rasella, in cui il giorno prima erano morti 33 tedeschi? E quale rapporto si può istituire tra il ricordo di quella strage e l’identità collettiva di un’intera città? L’eterogeneità sociale e politica delle 355 persone uccise fa delle Fosse Ardeatine un avvenimento emblematico, che lega insieme “tutte le storie” di Roma: a cadere sotto il piombo tedesco furono infatti generali e straccivendoli, operai e intellettuali, commercianti e artigiani, un prete e 75 ebrei; monarchici e azionisti, liberali e comunisti, ma anche persone prive di appartenenza politica.Protagonista assoluta del libro è la voce diretta dei portatori della memoria: duecento intervistati, di cinque generazioni, e di diversissime estrazione sociale e politica (compresi fascisti ed ex fascisti). Il volume colloca la strage delle Fosse Ardeatine in un contesto di lungo periodo della storia della città e l’azione di via Rasella nel contesto della Resistenza. Quell’atto di guerra partigiana è presto diventato anche l’asse di una polemica che ne ha messo in dubbio l’utilità e la legittimità, e ha asserito che la strage avrebbe potuto essere evitata se i partigiani si fossero consegnati ai tedeschi. In realtà, non vi furono né il tempo, né la richiesta per la presentazione; né vale, d’altra parte, il presunto automatismo del rapporto fra azione partigiana e rappresaglia. Ciò che è certo è che a partire da quegli eventi si è scatenata una vera e propria battaglia della memoria, che ha conosciuto varie fasi, dalla guerra fredda al processo Priebke, al revisionismo storico. Le vicende personali dei superstiti e dei protagonisti (e a sopravvivere e a ricordare sono soprattutto donne) mostrano come tutti abbiano convissuto, e convivano ancora, con una drammatica eredità. Ancora oggi, in modo singolare,le Fosse Ardeatine rappresentano un banco di prova della coscienza delle nuove generazioni. Raccolte da Alessandro Portelli, con uno scrupolo che è pari alla passione civile e alla tensione letteraria, le voci di questo libro danno adito a una ricostruzione di grande respiro corale, che si struttura attorno alla elaborazione e alla fissazione di un linguaggio. Ed è il linguaggio, alla fine, a farsi storia: una storia parlata; parlata a Roma.


 

Pasquetta a Centocelle foto di Cinzia Morgante

Caro Alberto è un libro su Alberto Sordi diverso da tutti i libri su di lui già esistenti: raccoglie una ricca scelta delle migliaia di lettere che il grande attore ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera. Lettere del suo archivio personale – custodito e studiato dalla Fondazione Museo Alberto Sordi – di ammiratori, appassionati di cinema, fans che si rivolgono a lui come si farebbe con un amico o con un parente, al quale chiedere consigli, confidare dolori, raccontare gioie e comunicare l’amore per le sue interpretazioni, che si rivelano un vero e proprio lenitivo ai momenti tristi della vita. Ci sono anche lettere di personalità celebri, di colleghi di lavoro – come Anthony Quinn, Monica Vitti, Gina Lollobrigida – e di esponenti politici. Ma soprattutto raccoglie tantissimi messaggi commoventi e inaspettati di anonimi cittadini, spediti o lasciati davanti alla villa di Roma dove Sordi ha vissuto per anni, che piangono la morte di un attore amato. Il libro si arricchisce delle testimonianze di Walter Veltroni – amico personale di Sordi, ma anche l’uomo politico che, all’epoca sindaco di Roma, ebbe il triste ed entusiasmante compito di organizzare un funerale che fu un bagno di folla, un evento popolare, come a Sordi, forse, sarebbe piaciuto – e di Carlo Verdone, forse l’unico attore che può dire di aver raccolto la sua eredità.

 


Foto di Emilia De Santis in Foto Romane

Vincitore Premio Internazionale Capalbio Piazza Magenta 2016 – Sezione Memoria e storia.
Questo è il racconto autobiografico di una protagonista del Novecento italiano. Giulia Maria Crespi appartiene a un’importante famiglia lombarda, di cui ha proseguito la tradizione filantropica e di impegno civile. Racconta qui le molte avventurose storie della sua vita. Centrali nel libro sono le vicende del “Corriere della Sera”, di grande importanza per la storia del nostro Paese. Giulia Maria Crespi, che in modo crescente partecipa alla gestione del giornale, si adopera in una battaglia per l’ammodernamento del “Corriere”, in consonanza con la parte più progressista dell’opinione pubblica. Una svolta coraggiosa ma irta di difficoltà, che nel 1974 la costringeranno a lasciare la gestione del giornale. Si occupa sempre più della Fondazione Crespi Morbio per Famiglie Numerose e di Italia Nostra. Nel 1975 assieme a Renato Bazzoni fonda il FAI (Fondo Ambiente Italiano) per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale. Da 40 anni lotta strenuamente per difendere l’agricoltura in Italia, in particolare quella organica.


 

UK in Italy, foto della Delegazione del Fai a Roma in occasione delle giornate del Fai

Tutte le favole iniziavano il racconto con c’era una volta in un paese lontano, lontano… Ma i tempi cambiano e così anche le forme si adattano ai nuovi contenuti. Ora c’è il borgo, vicino vicino, che ti dà nuovamente una opportunità di sognare come non mai in questo periodo storico. Tutto questo non è una operazione di nostalgia ma un racconto dell’uomo attraverso i silenzi e il pellegrinare dei borghi. La pandemia ha messo in scacco la città. E dunque c’è necessità di ripensare la città, rendendola più adeguata. Ma la rinascita non può prescindere dal borgo. I borghi hanno in comune la storia millenaria che li rende unici. E per questo sono “Presidio Slow Poetry”. Prima ci si sentiva Comunità, ancor prima di essere cittadini. Perché sono le storie che ti rendono unico. È giunto il momento di riattivare un processo culturale rivolto ad animare la Comunità all’interno, come un laboratorio costante. Una proposta di cittadinanza nuova e consapevole che solo la Repubblica dei Borghi conferisce. È una favola moderna. Tutto comincia a Milano nel parco di Trenno, con i miei due nipoti Leonardo e Federico. Il parco visto come proiezione di fantasie, archetipo di mutamento e scoperta. Una storia raccontata dal punto di vista dei bambini che sono i grandi dimenticati della pandemia. Hanno ascoltato per mesi il mondo brontolare. Era necessario includerli e ricominciare da loro. Loro giocano nel parco ma il futuro e la crescita passa e comincia dal passato. I borghi delle valli, delle Alpi, dell’Appennino e delle riviere sono patria del cuore, fino a diventare uno stato mentale.

 


La casa delle rondini di Marinella Sgarroni in Foto di Roma e del Lazio

 

 

Vezio De Lucia, architetto e urbanista, ripercorre la storia della politica di progettazione e pianificazione della città moderna in Italia dal dopoguerra a oggi. Dal miracolo economico che accompagna i famosi Trenta Gloriosi anni dello sviluppo, animati da complessi disegni di trasformazione della società, fino all’affermazione di quel neoliberismo degli anni Ottanta che, tra grandi opere, condoni ed elogio della proprietà privata, determina una regressione nella tutela dell’ambiente e un’accentuazione del consumo di suolo. Senza dimenticare figure centrali per una disciplina volta ad assicurare le condizioni umane di vita associata, quali Antonio Cederna, il volume si propone come manifesto di una possibile rigenerazione urbanistica capace di immaginare misure per una crisi ecologica drammatica parallela a una crisi sociale che imbarbarisce il Paese, distrugge i luoghi della socialità e svilisce le grandi bellezze del suo paesaggio.

 

 


 

Trastevere di Bresson Foto del 1959 pubblicata da Arapacis

 


In queste pagine troverete perfide matrigne e innocenti figliastre, fate benefiche e terribili streghe, piccoli re innamorati e romantiche reginette, e poi ancora luoghi e personaggi della storia di Roma. È un tuffo nel passato perché sono storie simili a quelle ascoltate nella nostra infanzia. Giggi Zanazzo nel 1906 salvò la memoria di questi racconti da lui uditi in giovinezza o ascoltati da anziane popolane. Questa riedizione del suo lavoro ci restituisce piccole e gustose novelle in dialetto romanesco che ancora oggi dobbiamo preservare dall’oblio, e soprattutto godercele per quel sapore di leggerezza, ironia e semplicità che le pone davvero fuori dal tempo.

 


 

Ponte Cestio foto di Luciano Viti su Memorie di Roma

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AUTORE

TITOLO

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28/02/2023
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21/02/2023
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31/01/2023
Gianluigi ColalucciIo e Michelangelo

24/01/2023
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Antonio Bottoni

Appassionato di Etica ed Economia, pittore, amante della musica attende con trepidazione un nuovo Rinascimento Italiano. Commercialista e Revisore Contabile. Sensibile alle innovazioni tecnologiche ha anticipato i tempi proponendo ai propri collaboratori e ai propri clienti un nuovo e agile metodo di lavoro: dal “basta carta” a favore di documenti solo in formato elettronico, a postazioni di lavoro in remoto e assistenza informatica e digitale. Insomma, quello che un decennio dopo si sarebbe chiamato smart working!

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