Le difficili ricette per il consenso popolare

Le difficili ricette per il consenso popolare

I due populismi

Quanto avvenuto negli ultimi 15 anni impone un’attenta riflessione a tutti coloro che pensano essenziale per la democrazia l’esistenza di un centro sinistra forte rispetto a un centrodestra egemonizzato dal sovranismo Salviniano.

In questo periodo il populismo antipartiti e anti-elite di Grillo e Casaleggio riesce a crescere fino a diventare nelle ultime elezioni politiche il gruppo più forte sia alla Camera che al Senato.     Raffrontando i dati con quelli delle precedenti legislative si vede che a perdere i voti sono i partiti di sinistra e di centro.

Nella destra nel contempo il populismo della Lega risucchia voti a Forza Italia.

Per Salvini l’ispirazione al sovranismo di Trump è facile e riesce così a diventare movimento nazionale, non più fenomeno territoriale. Il crescere dell’immigrazione, la paura dello straniero e il malessere sociale crescente per l’aumento delle disuguaglianze e del perdurare degli effetti della crisi economica, sono il propellente della crescita.

Si arriva così al matrimonio dei due populismi con un contratto che cerca di tenere insieme lotta alla povertà e difesa dei redditi alti (flat tax); una miscela che, malgrado l’equilibrista Conte, è destinato all’esplosione, anche per il basso livello di competenza del personale politico grillino. Lo scontro diventa esplosivo anche perché i risultati delle Europee, i risultati di alcune elezioni territoriali fanno pensare a Salvini che elezioni anticipate lo faranno diventare Primo Ministro con pieni poteri.

Ma la nascita del governo giallo rosso complica i piani di Salvini.

I nuovi movimenti e il Partito Democratico

L’esito delle elezioni in Umbria, i problemi per l’esito tutto da verificare delle elezioni in Emilia Romagna in cui c’è un presidente in grado di mettere in piazza i risultati positivi del suo governo e su un altro versante il crescere tumultuoso del movimento delle sardine e quello degli studenti sull’ambiente, pongono questioni vitali al centro sinistra e in particolare al suo partito più rappresentativo.

Infatti è palmare la difficoltà a recuperare voti che andarono ai cinque stelle ne’ questi movimenti, al momento, pensano di avere come interlocutore privilegiato il PD.

Perché e cosa fare?

Crediamo che le questioni vadano viste su due piani: quello della visione politica e quello organizzativo.

Sul piano politico si assiste alla continua frammentazione dell’area: invece che spinte all’unità prevalgono quelle alla divisione. La discussione interna, il dibattito democratico è sempre fonte per far nascere partitini ultra personalizzati. Partiti che hanno come compito principale (un classico della sinistra italiana) quello di vedere il nemico principale nel vicino.

C’è poi la debolezza della “Visione”.

La narrazione della Destra: prima gli Italiani, più sicurezza e poi dopo “Patria”, Dio e famiglia (ricorda qualcuno?) una favola efficace in tempi di paura.

Ebbene l’altra narrazione, peraltro più realistica, viene esplicitata con la forza e la capacità di comunicazione necessaria?

Dire: siamo per più Europa perché il singolo Stato europeo altrimenti sarà destinato a divenire colonia di una delle grandi potenze (USA, Russia, Cina).

Dire: inclusione, ovviamente controllando ingressi, per un paese che va velocemente declinando demograficamente è quasi obbligatorio.

Dire: più sicurezza per contrastare il rafforzamento della criminalità organizzata e della sua presenza nelle periferie.

Dire: essere chiaramente a fianco della lotta alle disuguaglianze, dialogare e sentire i corpi intermedi, ricercare nuovi assetti istituzionali, ovviamente salvaguardando la prima parte della nostra carta costituzionale.

Dire tutto ciò, è oggi percepito dai cittadini?

No, ma non per colpa dei cittadini che ascoltano solo i “messaggi di pancia”, i principali responsabili sono le divisioni, i personalismi, la ricerca della inutile caratterizzazioni, spesso una inadeguata qualità ed autorevolezza del personale politico, un elitismo senza elite, un “sentirsi superiori” che infastidisce e che allontana.

 Quello organizzativo: ad oggi nessuno si è posto il problema che il distacco dalla propria gente non si risolve solo pensando che bisogna usare bene i “social”.

Occorre a mio parere invece riscoprire il contatto umano con una profonda trasformazione delle strutture territoriali, del rapporto con gli eletti e con la primaria scelta di essere al servizio e promotori di partecipazione civile e politica.

Dialogare con le tante esperienze di volontariato, con i corpi intermedi, essere essi stessi attivatori di generatività sociale per rispondere alla voglia di partecipare attivamente e da questo individuare competenza e capacità di parlare con le persone da incanalare verso la rappresentanza.

Una ricetta difficile e complessa che deve fondarsi sui sentimenti e sulle motivazioni che però quanto accade continuamente intorno a noi, con i “movimenti”, con le mille forme di volontariato spontaneo dimostra quanto questi valori siano ben presenti tra quelle persone che spesso quando vanno a votare non sentono vicino il loro partito.

Raffaele Minelli

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